DARAI ALLA LUCE UN FIGLIO…

Stefania De Vita. | La Theotokos nella pittura: dai primi secoli all’attualità

In occasione della elezione del nuovo maestro generale dell’ordine domenicano, nel 2010 sono stati avviati importanti lavori di restauro presso la chiesa di Santa Sabina a Roma, curia generalizia dell’Ordine. Più precisamente l’intervento ha riguardato la porzione di facciata inclusa nel nartece: sotto sette strati di intonaco, a circa 3,50 metri di altezza, è venuto alla luce un importante e grande affresco dell’VIII secolo (2,80 x 4,35 m). Esso raffigura al centro la Theotokos, ovvero Maria Madre di Dio, con il Bambino racchiuso all’interno di una mandorla; alla sua destra e alla sua sinistra gli apostoli Pietro e Paolo, alle due estremità compaiono due figure femminili, ovvero Santa Sabina, titolare della Basilica e santa Serafia, l’ancella che, secondo la Passio, convertita da Sabina al cristianesimo, sarebbe stata martirizzata ancor prima di lei.

Theotokos, Basilica di Santa Sabina Roma, 711-712, Roma, nartece

Altre tre figure maschili corredano la pittura, questa volta però con nimbo quadrato, vuol dire personaggi viventi al momento della realizzazione dell’affresco. Esse hanno un volumen tra le mani, velate dal panneggio, che donano alla Vergine. Grazie a loro è possibile datarlo quasi ad annum, esattamente 711-712. L’affresco infatti presenta due iscrizioni: una racconta la motivazione del committente, un voto, l’altra riporta il tempo in cui questo voto fu sciolto, ovvero al tempo di papa Costantino (708-715). Sul lato sinistro si legge infatti: “THODORUS ARCHI P[res]B[ietr] UNACUM GEORGIO P[res] B[itero]BOTUM SO…”. Sul bordo superiore invece: “IN N[omine] D[omi]NI D[e]ISALVATORIS N[ostri] IH[s]V XP[ist]I TEMPORIBUS TER BEATISSIMI ET APO[stolici].

Sono quindi riportati anche i nomi dei tre personaggi: l’arcipresbitero Teodoro e il presbitero Giorgio. Entrambi furono inviati al concilio di Costantinopoli del 680 come legati di papa Costantino (terza figura con nimbo quadrato presente nell’affresco). Il periodo intercorso tra il 680 (Concilio) ed il 711-12 (realizzazione dell’affresco) è dovuto alla diatriba accesissima tra l’imperatore bizantino Filippico Bardane (711-713) e il papa Costantino avvenuta proprio in quegli anni.

Le figure dell’affresco sono caratterizzate da una corporatura salda, monumentale, statica, i gesti sono innaturali, si evince l’uso del verdaccio, colore largamente usato per gli incarnati. Copioso l’utilizzo del lapislazzulo. La preziosità dei materiali scelti e gli effetti cromatici ricercati testimoniano il possibile rapporto con l’Oriente e il dominio bizantino su Roma: siamo infatti nel passaggio tra il VII e l’VIII secolo, quando a Roma dominavano la comunità e la cultura greca; papi, monaci e pittori parlavano la lingua di Bisanzio e i monasteri concentrati tra Aventino (luogo in cui è collocata la chiesa di Santa Sabina) e la riva grande del Tevere, per almeno un quarto erano ellenici.

L’iconografia del Bambino nella mandorla ha un’origine legata al dogma del Logos incarnato, laddove l’inclusione nella mandorla serviva a inserirlo nella sfera del divino, sottolineando così il concetto della doppia natura del Cristo.

 cfr. Nuove scoperte per Roma Medievale: https://www.youtube.com/watch?v=cjC1qkvjc90&t=5494s

Divino e umano, “incarnato”, generato da Maria Vergine: καὶ ἰδοὺ συλλήμψῃ ἐν γαστρὶ καὶ τέξῃ υἱόν [letteralmente: ed ecco concepirai in ventre e partorirai un figlio] καὶ καλέσεις τὸ ὄνομα αὐτοῦ Ἰησοῦν [letteralmente: e chiamerai il nome di lui Gesù] (Lc 1,31 da https://www.bibbiaedu.it).

Maria partorisce un bambino e lo presenta al mondo: il motivo della madre di Gesù raffigurata seduta nell’atto di presentare il Figlio agli uomini è antichissimo: già nell’arte funeraria dei primi cristiani la scena dell’Epifania proclamava l’universalità della salvezza donata da Cristo Signore.

Nelle chiese del VI-VII sec., la Vergine in trono appare spesso raffigurata sulla parete dietro l’altare sotto scene di tipo teofanico, come testimone privilegiata del mistero dell’Incarnazione. A partire dal IX sec., dopo la vittoria dell’ortodossia sulle correnti iconoclaste, questa composizione va ad occupare l’intero catino absidale di molte chiese d’Oriente e d’Occidente, come avviene appunto alla fine dell’VIII secolo per l’abside di Santa Sofia di Costantinopoli. L’imponente figura della Madre è avvolta dal tipico manto blu scuro colore blu scuro che si distacca fortemente dal Figlio vestito di luce.

Theotokos, Santa Sofia, 867, Istanbul, mosaico absidale

La Theotokos di Santa Sabina è raffigurata con il Bambino a figura intera e racchiuso all’interno di un ovale azzurro e molto luminoso in una variante assolutamente rara per l’Occidente medievale. Una immagine similare, risalente all’incirca allo stesso periodo storico, è presente in Santa Maria Antiqua a Roma.

Madonna in trono con il Bambino in una mandorla, Sant’Anna con Maria bambina e S. Elisabetta con Giovanni, 757-767, 

Santa Maria Antiqua, Roma

Diversamente, questa immagine risulta essere frequente nell’Oriente bizantino come la Madonna del segno (XVII-XVIII) in cui ritroviamo il mezzo busto del Cristo e la Vergine esibisce il tondo all’altezza del petto con le braccia aperte a mò di orante.

Maria SS.ma Madre di Dio, c.d.Madonna “del Segno”, arte slavo-macedone (sec. XVII-XVIII), tempera e oro su tavola di Castagno, 

Musei Vaticani

Interessante è l’immagine che ci viene restituita da Marko Ivan Rupnik nella Cappella della residenza dell’arcivescovo cattolico a Belgrado (2005).

Incontro con Maria ed Elisabetta, Cappella della Residenza dell’arcivescovo cattolico a Belgrado, Marko Ivan Rupnik, 2005, particolare

Il mosaico si ispira alla scena iconografica profondamente radicata nella tradizione cristiana, dell’incontro tra Maria di Nazareth, Vergine e Madre di Dio, ed Elisabetta, moglie di Zaccaria e madre di Giovanni Battista. Protagonista di questo incontro tra le due donne è in primo luogo Maria, e il saluto di Elisabetta suscita in lei il più bel canto di lode che l’uomo abbia mai espresso a Dio. L’incontro tra Elisabetta e Maria è l’incontro tra due “uomini interiori”, tra gli uomini che queste due donne portano in grembo e dei quali uno è vero Dio e vero uomo. Il mosaico vuole far vedere  che Maria viene incontro ad Elisabetta come Madre del Signore e del Salvatore. 

Il “Mandylion” di Cristo, che Maria tiene con tanta tenerezza, rivela la relazione tra Maria e la Parola, che la Vergine ha accolto, portato in sé ed amato a tal punto che questa è diventata in lei carne, uomo, volto. 

CAPPELLA DELLA RESIDENZA DELL’ARCIVESCOVO CATTOLICO A BELGRADO [2005]

La forma del Mandylion di Cristo, un disco, e la sua collocazione, ovvero sul ventre di Maria, ci riporta nuovamente alla doppia natura di Cristo, uomo e divino, generato e ‘partorito’ da Maria.

È interessante notare come nel testo greco della Bibbia si utilizzi il termine ‘partorire’ per indicare la nascita. Nella traduzione italiana invece si impiega l’espressione idiomatica ‘dare alla luce’: 

Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù (Lc 1, 31). 

E ancora: 

Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio (Lc 1, 57);

Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio (Lc 2, 7) 

Le parole evangeliche “ella darà alla luce un figlio” si fanno forma e colore in tantissime opere d’arte. Una in particolare, restituisce immediatamente l’immagine della luce come nascita, vita che viene al mondo, ovvero il dipinto “Sole nel ventre” di Jean Marie Pirot, 1926, Grenoble.

Un’immagine decisamente molto particolare della Madonna: nudama non oltraggiosa, anzi infinitamente pudica; i seni appena accennati con il pennello, le mani sul grembo da cui traspare una luce, un sole raggiante che illumina tutto il dipinto. 

Lo sguardo è dolce e materno, l’intera figura si innalza verso l’alto, dal buio verso una luce trasparente. La forma dei capelli rimanda alla raffigurazione dell’occhio simbolo della Trinità. 

Intorno, colombe leggiadre e diafane, riconducono allo Spirito Santo. Il corpo umano di Maria si divinizza nella luce, nel contatto con la sfera luminosa, e ne diviene parte integrante: Maria madre e figlia di suo Figlio. 

Sole nel ventre, Jean Marie Pirot, 1926, Grenoble.

Maranatha (4)

Dietro di lei, il trono della Theotokos, diventa calice e clessidra, prefigurazione della Passione del Figlio e simbolo del tempo, vita, morte e resurrezione. 

Maria quindi dà alla luce Colui che è Luce del mondo e delle genti: 

ἐν αὐτῷ ζωὴ ἦν [letteralmente: in Lui vita era], 

καὶ ἡ ζωὴ ἦν τὸ φῶς τῶν ἀνθρώπων· [letteralmente: e la vita era la luce degli uomini] 

E ancora

ἦν τὸ φῶς τὸ ἀληθινὸν [letteralmente: Era la luce quella vera], 

ὃ φωτίζει πάντα ἄνθρωπον [letteralmente: che illumina ogni uomo] 

ἐρχόμενον εἰς τὸν κόσμον [letteralmente: veniente nel mondo].

 

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