L’ESPERIENZA CRISTIANA DELL’AFFIDAMENTO COME POSSIBILITÀ DI MATURAZIONE PIENA

Antonella MENEGHETTI fma

Docente di Liturgia, Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, Roma



 

INTRODUCCIÓN

 Parlare oggi dell’affidarsi come di un gesto indispensabile alla crescita personale sembra fuori moda.

Là dove, come nella cultura occidentale odierna, l’individualismo impera, la privacy è un valore assoluto ed inviolabile e la relazione ha senso solo quando è di vantaggio a chi la esercita, l’affidarsi è considerato ingenuità o rischio alienante.

Lasciando ad altre competenze l’approfondimento della valenza psicologica del tema, mi soffermo soltanto, in questo breve intervento, a considerare l’affidamento dal punto di vista della spiritualità liturgica, cercando di coglierne la ricchezza antropologica in ordine all’educazione. Vorrei perciò sottolineare come l’atto dell’affidarsi alla Madre del Signore, – gesto che ha percorso tutta la storia della pietas mariana, e che è stato esperienza significativa anche nella nostra spiritualità salesiana–, esiga e promuova la maturità umana.

Vorrei riflettere perciò sulla ricchezza antropologica di quell’esperienza che Giovanni Paolo II sintetizza nella formula Totus tuus.

La sensibilità contemporanea, razionalista ed individualista, prova un certo disagio di fronte ad espressioni religiose così totalizzanti. Eppure la pietà mariana e la liturgia continuano a riproporne l’esperienza. La raccolta delle Messe della Beata Vergine Maria contiene infatti ancora un formulario dal titolo Affidamento alla Beata Vergine Maria e il Direttorio su pietà popolare e liturgia ne parla con una certa chiarezza: «il termine “consacrazione” è usato con una certa larghezza e improprietà: “si dice, per esempio, – consacrare i bambini alla Madonna –, quando in realtà si intende solo porre i piccoli sotto la protezione della Vergine e chiedere per essi la sua materna benedizione”. Si comprende anche il suggerimento proveniente da più parti di utilizzare al posto di “consacrazione” altri termini, quali “affidamento” o “donazione”. Infatti, nel nostro tempo, i progressi compiuti dalla teologia liturgica e la conseguente esigenza di un uso rigoroso dei termini suggeriscono di riservare il termine consacrazione all’offerta di se stessi che ha come termine Dio, come caratteristiche la totalità, la perpetuità, come garanzia l’intervento della Chiesa, come fondamento i sacramenti del Battesimo e della Confermazione.

In ogni caso […] deve essere frutto […] di una decisione personale, libera, matura nell’ambito di una visione esatta del dinamismo della grazia; deve essere espressa in modo corretto, in una linea, per così dire, liturgica: al Padre per Cristo nello Spirito Santo, implorando l’intercessione gloriosa di Maria, alla quale ci si affida totalmente, per osservare con fedeltà gli impegni battesimali e vivere in atteggiamento filiale nei suoi confronti; deve essere compiuta al di fuori della celebrazione del Sacrificio eucaristico, trattandosi di un gesto di devozione non assimilabile alla Liturgia: l’affidamento a Maria si distingue sostanzialmente da altre forme di consacrazione liturgica».

 

  1. L’identità di figli e il senso di appartenenza alla Madre suscitano l’atto di affidamento

Il fondamento biblico e teologico del gesto di affidarsi a Maria è più che documentato. Inoltre il legame del popolo cristiano con la Madre di Dio non ha bisogno di dimostrazioni, perché il popolo ha sempre compreso e amato il suo rapporto unico con il Figlio. Ha sempre intuito la sua santità immacolata e, pur venerandola regina, l’ha sempre sentita particolarmente vicina. Soprattutto i poveri «sanno che essa fu povera come loro, che soffrì molto, che fu paziente e mite. Sentono compassione per il suo dolore nella crocifissione e morte del Figlio, gioiscono con lei per la risurrezione di Gesù. Celebrano con gioia le sue feste […]. Non tollerano che qualcuno la offenda e istintivamente diffidano di chi non la onora».

Dentro al sensus fidei innato del popolo di Dio, che apre all’amore e al sentimento di vicinanza con la Madre di Dio, il sentimento di compassione è senz’altro il più forte.

È la compassione verso la Madre dolente che porta a sentire anche la sua compassione verso il nostro dolore. La storia della pietas christiana lo testimonia abbondantemente dal Medioevo in poi. Documenta un reciproco legame, che ha il suo fondamento biblico in Gv 19,27, dichiara una sintonia, una comprensione che si fa reciproca ‘compassione’.

Il legame che consente al discepolo di «prendere Maria in casa» (Gv 19,27b), di accoglierla, gli consente anche di affidarsi a lei.

 

  1. Un legame attivo lungo la storia

 

Da vangelo di Giovanni fino a noi, questo affidamento si veste di varie denominazioni: oblatio, servitus, commendatio, dedicatio, consecratio.

 

Gli studiosi distinguono, lungo la storia, varie tappe e concretizzazioni dell’atteggiamento di dedicazione a Maria, che rappresentano schemi specifici dell’incarnarsi dei valori cristiani o dei carismi particolari di personalità devote.

Fin dalle prime testimonianze di venerazione, documentate dai Padri, Maria è riconosciuta come la consacrata per eccellenza al piano di Dio che si realizza nel Figlio Gesù.

Tra le prime attestazioni di dedicazione a lei commuove quella di Ildefonso di Toledo († 667) che si dichiara «servo dell’ancella del mio Signore», in un atteggiamento permanente di vita, perché brama «di non essere mai cancellato dal suo servizio» al fine di servire perfettamente il Cristo. Di attestazioni simili è fiorita l’intera storia cristiana di Oriente e d’Occidente, soprattutto l’Occidente medioevale «con le istituzioni del vassallaggio, della clientela e della volontaria servitù».  Le espressioni più usate sono commendatio e traditio che indicano la consegna di sé; oppure deditio, come avviene nel secolo XIII con i Servi di Maria, dedicazione espressa in varie forme di pietà cristiana e di preghiera liturgica. Il tardo medioevo esprime la sua devozione anche nell’amore cortese o cavalleresco, mentre il rinascimento registra la nascita di numerose congregazioni mariane le quali, soprattutto sotto la guida di insigni gesuiti, esprimono il loro amore alla Vergine nella modalità dell’oblatio, declinata come affidamento, offerta, espropriazione, dedicazione, appartenenza totale, oblazione, consegna fino all’olocausto e alla “santa schiavitù”.

Un’altra tappa importante nella devozione mariana in Occidente è segnata dalla “consacrazione a Gesù Cristo per mezzo di Maria”, ispirata e promossa dal Montfort, erede della tradizione spirituale e missionaria della Francia del dopo Concilio di Trento.I secoli seguenti saranno pieni di testimonianze di consacrazioni personali, nazionali o mondiali al Cuore di Maria, o all’Immacolata, grazie anche alla proclamazione del dogma del suo immacolato concepimento.

Alcune di queste denominazioni sopra citate sono state usate impropriamente, altre sono state soppresse (es. schiavitù), ma hanno sempre significato un legame attivo, una consegna per una relazione maturante.

Recita il prefazio della Messa per l’Affidamento alla B.V. Maria: «essi [i credenti] la ricevono in eredità preziosa dalle mani del Maestro […] e obbedendo ai richiami della Madre, custodiscono le parole del Signore».

Obbedendo, affidandosi, custodiscono le parole del Signore come aveva imparato a fare la Madre. Anche i fedeli, perciò, imparano a custodire, a non vanificare, non disperdere il dono della redenzione.

  1. Un atteggiamento che raccoglie tutta la vita

Nel tempo in cui finalmente nello studio della liturgia si dà spazio an- che ai linguaggi non verbali, si pensi mentalmente a quell’affidarsi, a quel consegnarsi serale realizzato da una comunità cistercense nella Salve Regina dopo Compieta. Scrive Ignacio Maria Calabuig: «Una comunità che si è già purificata dalle colpe con l’atto penitenziale, ha già ricevuto la benedizione dell’abate e ora è in piedi, davanti all’immagine della Vergine, unico punto splendente di luce nel buio della chiesa abbaziale; è là per porgere alla sua gloriosa Signora un riverente, ultimo saluto, per ringraziarla della protezione accordatale nel giorno trascorso, per esprimere la fiducia di incontrarla di nuovo l’indomani, all’alba, quando inizia una nuova giornata di servizio al Signore».

Per comprendere la potenziale ricchezza antropologica dell’affidamento a Maria, occorre anche soffermarsi brevemente sul fatto che esso si compie attraverso un rito liturgico o della pietà popolare e ricordare che il rito è in se stesso esperienza ed espressione di fede.

Esperienza come possibilità di “stare dentro” ciò che si vive, di rivivere l’evento, di ricordare, di essere partecipi. Per questo motivo, il rito è anche possibilità di cambiare, di trasformarsi dentro ad una relazione. Esperienza di fede, nel rito, è possibilità di mobilitare la risposta della propria libertà.

Il rito è anche espressione di fede, cioè possibilità non solo di trovare i linguaggi più alti e più adatti per dire, nel modo più pieno, la verità di se stessi, ma anche possibilità di realizzare quell’azione dove la fede consiste, accade, si sperimenta, raccoglie la vita.

Anche l’atto rituale dell’affidarsi è luogo in cui la fede si esercita, in cui si è provocati a rispondere liberamente – (è quel “mi affido” per imparare, come si “impara” a camminare) – ed è anche il momento in cui l’atteggiamento di fede può giungere alla sua espressione più alta («mi abbandono totalmente a te»: totus tuus).

Chi vive un atto rituale di affidamento mostra di aver scoperto che questa esperienza ed espressione di fede\amore è essenziale alla strutturazione della sua identità cristiana, al di là di ogni illusione “autoreferenziale”.

Al contrario, chi non ha imparato ad affidarsi, non matura in pienezza, né umanamente, né spiritualmente, perché non è capace di vera relazione.

La storia di affidamento, in questo caso a Maria, mostra invece che il cristiano sperimenta di poter essere pienamente se stesso di fronte e grazie ad un altro. Impara sempre più ad essere se stesso grazie alla relazione con l’altro e alimenta la sua vita in un fecondo interscambio.

La propria vita non è infatti autosufficiente. Aver fatto esperienza di questo, vuol dire possedere quel germe di ogni atto di fede, il quale implica – come nella relazione umana più profonda – la capacità di spogliarsi di sé e di affidarsi all’altro, di abbandonarsi a lui.

Crescere nella fede e nell’amore per Dio è esercitarsi in questo spogliamento di sé, come Abramo che lascia tutto, come Maria che rinuncia al suo progetto matrimoniale per compiere la volontà di Dio. Crescere in pienezza è esercitarsi in questo affidamento, inteso come apertura, come incapacità di chiudere i conti all’interno della propria esperienza, come gioia per aver ottenuto fiducia e possibilità di dare fiducia, anche quando non si è certi dell’esito.

È, in fondo, la capacità di imparare a relazionarsi ad un altro in modo del tutto gratuito; e questa è l’essenza della vita come dono.

Credo che l’esperienza del “consacrarsi”, del donarsi, dell’affidarsi a Maria lungo la storia abbia significato in qualche modo tutto questo. Abbia insegnato, ed insegni ancora, a crescere integralmente, facendosi dono nella relazione con gli altri e con l’Altro, insegni a sperimentare il pri- mato dell’amore che libera dall’angustia dell’io e spalanca ad un tu, ad un noi, a relazioni mature e felici.





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