Il volto di Maria nelle beatitudini evangeliche

KO Ha Fong Maria

KO Ha Fong Maria
  1. Un poema bello ma esigente

Davanti alle beatitudini del Vangelo si prova sempre il timore di rovinarlo con i tentativi di interpretazione e di commento. È un testo che continua a stupirci e sfuggirci. Non possiamo mai dire di averlo capito bene. Ed è forse proprio per questo ci attira.

Le beatitudini aprono il «discorso della montagna» (Mt 5-7), che è il primo dei cinque grandi discorsi di Gesù riportato da Matteo. Questo discorso costituisce il capolavoro letterario e teologico del primo evangelista. La sua composizione artistica, il suo contenuto profondo e innovativo, ne fanno un discorso di eccezionale fascino in ogni tempo, non solo per i cristiani, ma anche per chi non si professa discepolo di Cristo, come per esempio Mahatma Gandhi, il quale ha più volte affermato l’influsso di questo discorso di Gesù nella sua vita e considerava le beatitudini «le parole più alte del pensiero umano».

Seduto sull’altura, con davanti la distesa calma e limpida del Lago di Galilea, Gesù parla in atteggiamento solenne ma affabile, da profeta illuminato, maestro saggio e poeta estasiato. La folla proveniente da diverse parti (cf Mt 4,25) lo guarda con attesa e curiosità, con riverenza ed estrema attenzione: questa è la scena che Matteo induce i suoi lettori a immaginare.

Le otto beatitudini, ciascuna formulata da un macarismo iniziale («Beati …») accompagnato da una motivazione (espressa da «perché …»), sono come otto versi di un poema, otto note di una melodia armoniosa che prende ali e vola lontano, otto immagini inafferrabili ma affascinanti. Risveglia negli ascoltatori e nei lettori la nostalgia e la speranza di un mondo fatto di bontà, di sincerità, di giustizia, senza violenza e senza menzogna, un modo più bello di essere uomini e donne.

A seguire le otto beatitudini c’è una nona: «Beati voi quando vi insulteranno, … per causa mia …» (vv. 11-12), che sviluppa il contenuto dell’ottava, ma, invece della terza persona, presenta la concretizzazione «voi» in seconda persona e del «per causa mia» in prima persona. Si evidenzia la relazione personale io-voi tra Gesù e i suoi discepoli. I «beati» non sono personaggi lontani e tanto meno ipotetici, le «persecuzioni» sofferte non sono per un generico motivo nobile, ma per causa di Gesù. Viene messa in evidenza anche la dimensione storica: «… così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi». I discepoli di Gesù sono inseriti in una catena di beati lungo la storia.

La prima e l’ottava beatitudine hanno una motivazione identica: «perché di essi è il regno dei cieli». Quest’inclusione segna il tema centrale non solo delle beatitudini, ma di tutto il lungo discorso della montagna. Infatti, l’espressione “regno dei cieli” (o l’equivalente “regno di Dio”) ricorre ben otto volte in tutto il discorso, sempre nei punti cardinali. Gesù svela la bellezza del regno di Dio e la felicità di chi vi entra.

Egli inizia il “discorso della montagna” non con concetti astratti, ragionamenti teorici, definizioni incontestabili o norme irrefutabili, ma con un annuncio di gioia. Egli presenta un Dio dal volto sorridente, un Dio che si allea con la gioia degli uomini e la accresce. Scrive il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La via di Cristo è riassunta nelle “beatitudini”, il solo cammino verso la felicità eterna, cui aspira il cuore dell’uomo» (n. 1697). A differenza delle leggi, degli obblighi e dei divieti, le beatitudini non vengono definite in primo luogo da ciò che è giusto e doveroso, ma da ciò che a Dio piace, da ciò che costituisce il compiacimento di Dio e la felicità dell’uomo. Esse non segnano il limite del minimo indispensabile, ma tracciano l’ideale del massimo possibile, non definiscono il livello della sufficienza, ma lanciano verso il bello che è senza confine. La prima e l’ottava beatitudine si esprimono con il verbo al tempo presente (di essi è il regno dei cieli), mentre le altre al tempo futuro (saranno consolati; erediteranno la terra; saranno saziati, ecc.). Presente e futuro, realizzazione e attesa, richieste e promesse, grazia e impegno s’intrecciano. Il compimento delle beatitudini ha una prospettiva escatologica, il regno dei cieli è già presente ma non ancora pienamente raggiunto, i cristiani sono in cammino, in via di trasformazione.

Gesù conclude la proclamazione delle beatitudini con l’invito: «Rallegratevi ed esultate …» (Mt 5,12). «Rallegrati!» aveva detto a Maria l’angelo Gabriele a Nazaret (Lc 1,28). «Ecco vi annuncio una grande gioia» (Lc 2,10) aveva detto l’angelo ai pastori alla nascita di Gesù. Ora lo stesso invito risuona sul monte, questa volta non dalla bocca di un angelo, ma da quella del Figlio di Dio fattosi uomo. La gioia di Dio pervade il vangelo e fa sbocciare il sorriso anche a chi piange. Gesù, che pure prevede gli insulti, i rifiuti, le persecuzioni per sé e per i suoi discepoli, invita a rallegrarsi. Questa insistenza tornerà più volte nei suoi insegnamenti. Persino alla vigilia della sua morte, pur con l’angoscia insopportabile nel cuore, egli assicura i suoi discepoli: «la vostra tristezza si cambierà in gioia» (Gv 16,20) e «nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Gv 16,23). Le beatitudini annunciano, anticipano questa gioia che trova la pienezza solo alla presenza di Dio (cf Sal 16,11).

Nelle beatitudini non vengono elogiate le virtù in astratto, ma ci si congratula con le persone: i poveri, i puri, gli afflitti, ecc. E ancora: Esse non costituiscono la lista di otto gruppi di persone, o tanto meno otto requisiti per entrare nel regno dei cieli, bensì una descrizione in otto prospettive della bellezza delle persone che seguono Gesù e vivono così la cittadinanza evangelica nell’intima alleanza con Dio.

Il genere letterario delle beatitudini è assai diffuso nella Bibbia. I saggi e i profeti d’Israele spesso comunicano i loro oracoli con l’uso di questo mezzo stilistico. «Beato l’uomo che teme il Signore» (Sal 112,1) «Benedetto l’uomo che confida nel Signore!» (Ger 17,7); «Beato l’uomo che medita sulla sapienza» (Sir 31,8); ecc. Nell’Antico Testamento si trovano più di 40 di questi macarismi. Ora è sulla bocca di Gesù in forma estesa e strutturata: un poema che traccia l’identikit del candidato al regno dei cieli, un modello di santità, una sorta di «carta d’identità» del singolo cristiano e una specie di «magna charta» del popolo della nuova alleanza che Gesù è venuto a formare, un itinerario di santità, come dice Papa Francesco: «La parola “felice” o “beato” diventa sinonimo del “santo”, perché esprime che la persona fedele a Dio e che vive la sua Parola raggiunge, nel dono di sé, la vera beatitudine» (Gaudete et exultate 64).

Nonostante il linguaggio di bellezza, il tono gioioso e la forma poetica, le beatitudini presentano delle esigenze morali serie e delle mete di altissimo livello. Esse «vanno molto controcorrente rispetto a quanto è abituale, a quando si fa nella società; e, anche se questo messaggio di Gesù ci attrae, in realtà il mondo ci porta verso un altro stile di vita. Le Beatitudini in nessun modo sono qualcosa di leggero o di superficiale; al contrario, possiamo viverle solamente se lo Spirito Santo ci pervade con tutta la sua potenza e ci libera dalla debolezza dell’egoismo, della pigrizia, dell’orgoglio» (GE 65). La logica divina che regge le beatitudini evangeliche evoca quella manifestata nel mistero della croce «scandalo» per i giudei e «stoltezza» per il mondo (cf 1Cor 1,23), o quella celebrata da Maria nel canto del Magnificat. E per questo che la realizzazione delle beatitudini esige “radicalità”, un’opzione decisiva, un amore forte che spinge irresistibilmente (cf 2Cor 5,14), un atteggiamento di fondo che pervade “spirito” e “cuore” («beati i poveri in spirito», «beati i puri di cuore», «beati i miti», «beati i misericordiosi»), e che dia anima al necessario impegno morale molteplice e quotidiano («beati gli operatori di pace»). In questa luce scrive Rinaldo Fabris, le beatitudini «assumono un doppio risvolto: dono e impegno, buona notizia per i poveri e programma di vita per gli umili dal cuore puro. Nella prospettiva del regno di Dio le esigenze etiche ricevono il loro dinamismo escatologico, la loro serietà e radicalità».[1]

  1. Il riflesso di una catena di volti

Il Catechismo della Chiesa Cattolica offre (nel n. 1717) una sorte di descrizione globale delle “beatitudini” nelle sue varie dimensioni, con queste parole.

«Le beatitudini dipingono il volto di Gesù Cristo e ne descrivono la carità; esprimono la vocazione dei fedeli associati alla gloria della sua Passione e della sua Risurrezione; illuminano le azioni e le disposizioni caratteristiche della vita cristiana; sono le promesse paradossali che, nelle tribolazioni, sorreggono la speranza; annunziano le benedizioni e le ricompense già oscuramente anticipate ai discepoli; sono inaugurate nella vita della Vergine e di tutti i santi»

Le chiavi di letture o le prospettive d’interpretazione delle beatitudini possono essere molteplici – cristologica, teologica, antropologica, soteriologica, ecclesiologica, escatologica, morale, spirituale, catechistica ecc. – tutte interconnesse e complementari. Tra queste la prospettiva cristologica emerge con particolare fascino e spessore di significato.

Prima di essere proclamate, le beatitudini sono state vissute, maturate da una profonda esperienza interiore. Mentre Gesù descrive l’immagine del discepolo che egli ha nel cuore e che ama vedere nei cristiani di ogni generazione, rivela contemporaneamente i lineamenti del proprio volto. In realtà, quale altro ideale può avere il cristiano se non quello di essere «conforme all’immagine di Cristo» (Rm 8,29)? Quale altra bellezza può vantarsi colui/colei che vive nella sequela di Cristo se non quella di assomigliare a lui? Origene, commentando le beatitudini, scrive: «Gesù, tutte le beatitudini che ha annunziato nel Vangelo, le conferma col suo esempio, e il suo insegnamento lo comprova con la sua testimonianza».[2]Un pensiero simile si trova nel Catechismo della Chiesa Cattolica nell’articolo intitolato «La nostra vocazione alla beatitudine»: «Le beatitudini dipingono il volto di Gesù Cristo e ne descrivono la carità» (n. 1717). Lo stesso dice Papa Francesco: Nelle beatitudini «si delinea il volto del Maestro, che siamo chiamati a far trasparire nella quotidianità della nostra vita» (Gaudete et exsultate 63). Le beatitudini sono l’autoritratto di Gesù! È lui il vero povero di spirito, il mite, il puro di cuore, il pacifico, il perseguitato per la giustizia.

Il volto di Gesù, però, non si staglia solitario. Egli è «il primogenito fra molti fratelli» (Rm 8,29), «capo del corpo, cioè della Chiesa» (Col 1,18). Insieme al suo, si riflette nelle beatitudini una catena di volti, una schiera di persone attratte da lui, una «moltitudine di testimoni» (Eb 12,1) e di santi di ogni epoca e ogni luogo. Il volto più vicino e più simile a quello di Cristo è senz’altro il volto di sua madre, la Tuttasanta, «la beata vergine Maria», come la venera la liturgia. Dietro a Gesù e Maria ci sono i nostri antenati di fede, modelli e maestri di vita, ci sono anche  tanti «santi della

  1. La realizzazione delle beatitudini in Maria

Nei Vangeli figurano tre attribuzioni della qualifica di «beata» a Maria. La prima viene proclamata da Elisabetta: «Benedetta tu fra le donne… Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1, 42-45). La seconda è cantata da Maria stessa nel Magnificat: «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1, 48). La terza proclamazione è proferita da una donna anonima, la quale, dopo avere ascoltato Gesù parlare, «alzò la voce di mezzo alla folla e disse: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte”» (Lc 11,27). Questo riferimento, pur se implicito, è rivolto alla madre di Gesù. La risposta di Gesù : «Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano» mette a fuoco la beatitudine più autentica e più profonda di Maria, il cui atteggiamento di ascolto e di contemplazione è costante ed esemplare. Luca l’ha voluto rilevare scrivendo che Maria «serbava tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,51), «meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19).

Come emerge il volto di Maria nelle beatitudini proclamate da Gesù nel discorso della montagna? Cerchiamo di presentarne alcuni tratti:

Beati i poveri in spirito: Nel suo canto del Magnificat Maria, l’umile serva in cui il Signore ha fatto grandi cose, ha fissato i tratti che caratterizzato per tutti i tempi i «poveri in spirito» secondo il cuore di Dio. «Maria primeggia tra gli “umili” e i “poveri del Signore”, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza» (Lumen Gentium 55). Il suo vuoto di sé, la sua apertura e disponibilità totale l’hanno resa «piena di grazia», degna d’essere «proclamata beata da tutte le generazioni».

Beati gli afflitti: Maria, madre dolorosa, ha sperimentato la spada che le trafigge il cuore e sotto la croce ha sofferto in profonda unione con suo Figlio. Ella conosce bene il mistero di morte e risurrezione, di dolore e gioia. È presente in mezzo al piccolo gruppo disorientato dopo il Venerdì santo con il suo sostegno. Accompagna la comunità che vive il vuoto, il dramma dell’«afflizione» ma che si apre alla «beatitudine» promessa. Maria è l’addolorata e insieme la consolatrice degli affitti.

Beati i miti: Maria appare nel Vangelo come donna mite e dolce, discreta e delicata. È la prima a imparare dal suo Figlio Gesù, che è «mite e umile di cuore» (Mt 11,29). La proclamiamo da secoli alla conclusione della  «Salve Regina» : «O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria».

Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia: «Fame e sete della giustizia» allude all’anelito, la passione e l’impegno serio per le cose di Dio, che ha il primato assoluto. «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, …» (Mt 6, 33), esorta Gesù. «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34), dichiara con forza. Come il Figlio, Maria viveva in continua tensione alla piena realizzazione del piano di Dio su di lei e su tutto il mondo per mezzo di lei, anche se spesso questo piano le si presentava incomprensibile. Ella ha sempre avanzato nella  «peregrinazione della fede» (LG 58) crescendo dal fiat: «Avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38) al facite: «Fate quello che egli vi dirà» (Gv 2,5), dall’accettazione della volontà di Dio in sé al guidare altri a fare altrettanto.

 Beati i misericordiosi: Il riconoscere Maria come madre di misericordia è una tradizione antica e ininterrotta nella Chiesa. Dante termina il suo Paradiso mettendo in bocca a S. Bernardo questa preghiera a Maria: «In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate». Nella preghiera della  «Salve Regina» rivolgiamo a lei con fiducia filiale la supplica: «rivolgi a noi i tuoi occhi misericordiosi».

Beati i puri di cuore: Maria è la purissima, la tuttasanta, l’immacolata. In lei l’umanità viene ricondotta nella sua iniziale bellezza e innocenza. Maria manifesta la dignità e la vocazione umana pensata da Dio fin dalla creazione. Ciò che Adamo e Eva avrebbero dovuto realizzare ora rifulge in lei in pieno splendore e purezza.

Beati gli operatori di pace: Maria è la madre del Principe della pace,  mediatrice e regina della pace. Il Vaticano II ha affidato a lei «l’intercessione» affinché «tutte le famiglie dei popoli … in pace e concordia siano felicemente riunite in un solo popolo di Dio» (LG 69). E Paolo VI ha proposto Maria come «esempio dal quale tutti possono apprendere come diventare anime di pace, attraverso il contatto amoroso e incessante con Gesù e con i misteri della sua vita redentrice»(Lettera apostolica Recurrens mensis october).

Beati i perseguitati per causa della giustizia: Maria visse la beatitudine dei perseguitati in intima unione con Gesù nella sua opera redentrice, «soffrendo profondamente con il suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata e offrendola anch’ella all’eterno Padre» (LG58; Marialis cultus, 20). È «Regina dei martiri», dal cielo non cessa di sostenere coloro che rimangono fedele a Dio fino a dare la vita, come ha fatto l’eroica madre dei sette figli martiri (2Mac 7).

Concludendo vogliamo ancora rilevare questo: mentre per noi, cittadini di questa terra in tensione verso il cielo, viviamo le beatitudini in prospettiva escatologica tra «già e non ancora», in Maria invece, le beatitudini hanno ormai oltrepassato questa fase di attesa del compimento, in lei le beatitudini evangelica hanno già raggiunto la realizzazione più piena, più perfetta, più bella. Guardando a lei si comprende quali tesori di gloria Dio riserva alle sue creature umane (cf Ef 1,18). Maria anticipa la realtà del nostro futuro. Il suo volto, perfettamente configurato con quello di Cristo, svela come possono diventare e dove possono arrivare l’uomo e la donna, se si aprono al mistero di Dio e accettano di camminare seguendo Cristo e il suo Vangelo.

[1] Fabris Rinaldo, Matteo. Traduzione e commento, Roma, Borla 1982, 110.

[2] Origene, Commento su Luca, 38, 2.

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