“MONUMENTO VIVO DI RICONOSCENZA” A MARIA E COME MARIA

KO Ha Fong Maria

KO Ha Fong Maria

  1. Simbolo d’una identità

Nel giorno della sua nascita, il 5 agosto 1872, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice ricevette dal suo Fondatore S. Giovanni Bosco un nome e un simbolo: «Abbiate come gloria il vostro bel titolo di Figlie di Maria Ausiliatrice, e pensate spesso che il vostro Istituto dovrà essere il monumento vivo della gratitudine di don Bosco alla Gran Madre di Dio, invocata sotto il titolo di Aiuto dei cristiani».[1]

Il simbolo spiega il nome e visibilizza l’identità dell’Istituto in maniera profonda e totale al di là di ogni costruzione concettuale ed espressione verbale. Lungo la sua storia, che conta ormai 140 anni, l’Istituto approfondirà continuamente la sua auto comprensione seguendo i ritmi interiori della propria crescita e in una prudente interazione con i tempi. La codificazione dell’identità si evolve, gli orizzonti si allargano e i contesti culturali variano, ma il simbolo del «monumento vivo di riconoscenza a Maria Ausiliatrice» rimane sempre un’epifania dell’essere profondo dell’Istituto, un segno onnicomprensivo e vitale dell’ideale carismatico del Fondatore, un paradigma carico di dinamismo spirituale e di novità perenne. Si tratta di un simbolo (dal greco symbállô) che «mette insieme», «pone a confronto» il visibile con l’invisibile, il significante con il significato e veicola un movimento spirituale che va dalla percezione sensibile ad un livello più elevato. Il simbolo «precede il linguaggio e il ragionamento discorsivo […] rivela determinati aspetti della realtà – gli aspetti più profondi – che sfuggono a qualsiasi altro mezzo di conoscenza».[2]

Nell’economia della rivelazione divina parole, eventi e simboli si integrano e si interpretano reciprocamente.[3]Infatti in ogni processo di significazione «accanto all’ordine intelligibile si pone l’ordine visivo, accanto alla parola si pone l’immagine».[4] «La parola tende a “dimostrare”, l’immagine a “mostrare”».[5] Una simile relazione è constatabile tra il nome (parola sull’identità) e l’immagine del monumento vivo (simbolo d’identità) nel discorso di dono Bosco nell’atto della fondazione dell’Istituto.

L’immagine del «monumento» induce facilmente a pensare a qualcosa di statico, passivo, bisognoso d’essere custodito e restaurato. Don Bosco invece vuole che il monumento innalzato da lui sia «vivo», cioè «dinamico, pervaso quindi da una interiore tensione di crescita, da una forza vitale di sviluppo e di espansione».[6] Durante la fase di maturazione del progetto di fondazione dell’Istituto, don Bosco ebbe un dialogo con don Cerruti. Questi gli chiese: «Ella vuol fondare una Congregazione di Suore?». E don Bosco: «Vedi, la rivoluzione si servì delle donne per fare un gran male e noi, per mezzo loro, faremo un gran bene!». Ed aggiungeva che «avrebbero avuto il nome di Figlie di Maria Ausiliatrice perché voleva che il nuovo Istituto fosse anch’esso un monumento di perenne riconoscenza per i singolari favori ottenuti da sì buona Madre».[7] Queste parole rivelano quanta fiducia e speranza don Bosco poneva nell’Istituto e quale missione egli gli affidava. Don Bosco volle che questo «monumento» fosse una realtà viva e crescente, una forza capace di trasformare la società in bene, un movimento con vasti orizzonti e profondo influsso nella storia.

Un monumento rappresenta l’oggettivazione di una memoria. Innalzare un monumento in ricordo riconoscente di una persona o di un evento è molto comune nella cultura del tempo, in particolare nel contesto del risorgimento italiano in cui visse don Bosco. Ci chiediamo: avrà egli assunto quest’immagine molto comprensibile per se stessa e l’avrà collegata a quella del tempio, e in concreto al Santuario di Maria Ausiliatrice consacrato nel 1868, pochi anni prima della fondazione dell’Istituto? Così interpreta don Filippo Rinaldi, terzo successore di don Bosco: «A questa sua [di don Bosco] devozione, a questa sua riconoscenza non parve monumento sufficiente il grandioso Santuario di Valdocco, […] e volle dedicare alla Madonna un tempio vivo che racchiudendo in sé la forza vitale del suo progressivo sviluppo e perfezionamento, offrisse al mondo, in un continuo crescendo, la magnificenza, la santità, la potenza e l’amore materno di Maria SS. Ausiliatrice».[8]

Don Bosco offrì quindi due monumenti a Maria Ausiliatrice: un monumento-tempio e un monumento vivo di donne consacrate. L’uno acclama: gloria![9] L’altro dice: grazie! Nella sua umiltà don Bosco riconosce ripetutamente che è Maria che ha fatto tutto. «Aedificavit sibi domum Maria».[10] Del monumento-tempio egli afferma: «Ogni pietra, ogni ornamento segnala una sua grazia».[11] Del monumento-Istituto FMA egli potrebbe dire: ogni Figlia di Maria Ausiliatrice esprime un grazie a Maria.

Questo «monumento vivo di riconoscenza» ha ormai 150 anni di vita. Guardando alla propria storia l’Istituto può constatare che è stato effettivamente un ringraziamento ininterrotto a Maria. E il «simbolo d’identità» consegnato dal Fondatore è sempre tenuto vivo. Ciò si constata con evidenza nei testi costituzionali post-conciliari, in cui l’autocoscienza d’essere «monumento vivo di riconoscenza a Maria Ausiliatrice» è presente come sintesi del patrimonio spirituale e struttura fondante dell’Istituto.[12] Ma al di là del testi codificati, la vita delle FMA è lo spazio di manifestazione di questo simbolo, il luogo in cui l’ideale si fa reale dispiegandosi lungo la temporalità in una fedeltà dinamica. E questo spazio è in continua dilatazione, crescendo in dimensione multiculturale.

Anche i Sommi Pontefici, negli incontri ufficiali con l’Istituto, non hanno mancato di ricordare a tutti i suoi membri questa peculiarità. In occasione del centenario della fondazione dell’Istituto Paolo VI pone alle FMA questa domanda: «Non è forse il vostro Istituto il monumento vivo che don Bosco ha voluto erigere alla Madonna, come segno di imperitura riconoscenza per i benefici da Lei ricevuti e come trofeo di speranza per tutti i benefici di cui aveva bisogno l’opera sua, così complessa e difficile, direi così paradossalmente sproporzionata ai suoi mezzi?».[13] Nell’udienza concessa alle FMA in occasione del centenario della morte di S. Maria Domenica Mazzarello, Giovanni Paolo II concludeva il suo discorso dicendo: «A Lei [Maria] consegno tutta la vostra Famiglia, voluta da don Bosco come “monumento vivente di amore mariano” e La prego di proteggervi in ogni momento della vostra crescita per le vie del mondo».[14]

  1. A Maria, con Maria e come Maria

L’uomo d’oggi non è sensibile all’immagine del «monumento». La società moderna investe le sue risorse nello sviluppo economico e tecnologico piuttosto che a onorare il passato. Molti pensatori segnalano la gravità di questa perdita di memoria che, in ultima analisi, diventa perdita di riferimenti validi e fondanti, indebolimento dei legami con la sorgente e con le radici del proprio essere. L’uomo senza memoria è superficiale, inconsistente. Non è capace di esperienze profonde, ma ha solo impressioni passeggere; non sa coltivare sentimenti intensi, ma percepisce solo emozioni di breve durata; non sa alimentare l’attesa e nutrire la speranza, concepire grandi ideali e veri progetti, ma si agita con affanno, chiuso nell’immediato e  vive a corto respiro. In un’epoca della dimenticanza l’essere «monumento vivo» non appare anacronistico ? E poi in una epoca che esalta la solitudine dell’io, l’egoismo di una relatività storica e sociale centrata sugli interessi del singolo, parlare di «monumento di riconoscenza» non suona quasi come una stonatura? Come tradurre questo «simbolo d’identità» dell’Istituto nell’oggi, affrontando le sfide e penetrando saggiamente nelle socio-culture diverse? Il compito è arduo, ma più che mai attuale. Non oso tentare di dare risposta a domande troppo complesse. In questo articolo vorrei soltanto poter dimostrare come Maria stessa è la chiave ermeneutica della comprensione e realizzazione dell’identità delle FMA espressa da don Bosco con il simbolo del «monumento vivo di riconoscenza a Maria Ausiliatrice».  «A Maria», «con Maria» e «come Maria» sono espressioni molto ricorrenti nelle Costituzioni delle FMA, e sono tra di loro connesse. La riconoscenza a Maria impegna a vivere in intima unione con lei i suoi stessi atteggiamenti di vita. L’espressione «a Maria» si concretizza nell’altra: «con Maria e come Maria».

Maria, il «frutto più eccelso della redenzione»,[15] la «singolare testimone del mistero di Gesù»,[16] la piena di grazia verso cui «converge tutta l’economia salvifica»,[17] è il monumento più perfetto, vivo e perenne di riconoscenza a Dio. Per comprendere e realizzare l’identità mariana dell’Istituto delle FMA bisogna partire da Maria stessa considerata come soggetto piuttosto che come oggetto. È da connettere in questa linea l’affermazione convinta di S. Maria D. Mazzarello, la prima pietra del monumento vivo di riconoscenza innalzato da don Bosco a Maria Ausiliatrice: «Siamo vere immagini della Madonna».[18]

Secondo don Filippo Rinaldi, quella del «monumento vivo» fu un’intuizione implicita di don Bosco stesso. Egli «volle modellare il suo monumento sulla Vergine Santissima».[19] «Che cosa debbono fare le Figlie di Maria Ausiliatrice per concorrere davvero a formare di sé questo monumento a Maria? Il monumento deve ritrarre nel miglior modo le fattezze della persona che rappresenta; e così il pensiero di don Bosco, nel fondare codesto Istituto, fu che ogni Suora di esso fosse una copia fedele di Maria. […] Don Bosco voleva che in ogni Figlia di Maria Ausiliatrice si vedesse rispecchiata l’immagine della Madonna».[20]

Anche Paolo VI, nel discorso fatto in occasione del centenario dell’Istituto, dopo aver richiamato alle FMA la loro identità di «monumento vivo», esorta: «Finché alla scuola di Maria saprete imparare a tutto dirigere a Cristo suo Figlio, finché terrete fisso lo sguardo su di lei che è il capolavoro di Dio, il modello e l’ideale di ogni vita consacrata, il sostegno di ogni eroismo apostolico, non si inaridirà mai nel vostro Istituto quella sorgente di generosità e di dedizione, di interiorità e di fervore, di santità e di grazia che ha fatto di voi così preziose collaboratrici di N.S. Gesù Cristo per la salvezza delle anime».[21]

  1. Maria monumento vivo

«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». È un’affermazione lapidaria di Benedetto XVI all’inizio della sua prima enciclica.[22] L’amore di Dio è apparso in forma umana: questo è il fondamento della fede cristiana. La creatura umana più vicina a Gesù è Maria, sua madre. Con la sua maternità Maria è resa «luogo» in cui Dio si incontra con l’uomo in modo nuovo e definitivo. Ella stessa è mnemósunon, monumento storico visibile dell’incarnazione del Figlio di Dio.[23]

Un monumento ha principalmente tre funzioni o tre aree di significato. Essere:

anamnesi: il monumento ricorda, fa memoria di una persona o di un evento storico;

testimonianza: il monumento è segno, testimone di ciò di cui fa memoria, lo ripropone e riattualizza nell’oggi;

profezia: il monumento fa sprigionare energie di futuro e di novità dall’oggetto rappresentato che si crede di valore perenne.

In Maria, monumento vivo dell’opera salvifica di Dio, si colgono tutte queste caratteristiche.

3.1. Monumento-anamnesi

Il «fare memoria» è una delle caratteristiche spiccate della figura evangelica di Maria. Nei Vangeli le notizie su Maria sono molto scarse. Tuttavia, tra le parole limitatissime in riferimento a Maria, Luca ha voluto sottolineare la sua accoglienza riflessiva e sapiente del mistero dicendo due volte: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19), «sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (2,51b).[24] Questa espressione apre profondi spiragli sulla vita interiore di Maria e rivela l’atteggiamento costante con cui ella accompagnava lo svolgersi della vita di Gesù.

«Custodire le cose nel cuore» vuol dire saper far memoria, saper ri-cordare (dal latino re-cordari). Non si tratta di un’attività dell’intelletto soltanto, ma del cuore, che nel linguaggio biblico indica l’io più profondo, più autentico. Nella Bibbia il «ricordare», o «fare memoria», legato alla radice ebraica zkr, è qualcosa che coinvolge tutta la persona: il pensare, l’amare, ma anche l’agire. Il «fare memoria» è un vero e proprio evento. Si ricordano i fatti del passato, ma lo stesso ricordare è un’azione che permette di rinnovare e di trasformare nel presente quanto si è verificato nel passato. Per questo il ricordo non significa solo un ritorno nel passato, ma implica sempre una riattualizzazione nel presente e un lancio al futuro. Il vivere comporta un continuo mettere a frutto il ricordo. Dunque il ricordo, in particolare nel senso biblico, è sempre performativo, una «realtà efficace».[25]

Nell’Antico Testamento la memoria è una delle categorie fondamentali del rapporto tra Dio e il suo popolo. Il libro del Deuteronomio esorta con insistenza Israele a far memoria dei fatti storici che costituiscono la sua identità di popolo dell’Alleanza: «Bada a te e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita: le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli. […] Guardatevi dal dimenticare l’alleanza che il Signore, vostro Dio, ha stabilito con voi» (Dt 4,9.23). Trasmettere a memoria le meraviglie operate da Dio è diventato per Israele legge di vita (Sal 78,3-5) e dimenticarle è fonte di male e di peccato (Sal 106,7.13.21).[26]

Dio, quando fa una proposta al suo popolo, immancabilmente la fa precedere da un’anamnesi, perché Israele tenga presenti tutti i benefici ricevuti. Sul Sinai la stipulazione dell’alleanza è introdotta da questo richiamo del passato: «Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me» (Es19,4). La memoria del passato infonde fiducia nel presente e speranza nel futuro. Ciò che Dio ha fatto ieri è pegno di ciò che fa oggi e di quello che farà domani, perché l’amore di Dio è immutabile e la sua fedeltà dura in eterno.

Da parte sua Dio non si stanca di assicurare che si ricorda della sua Alleanza (Gn 9,15; Es 2,24; 6,5; Lv 26,42), si ricorda del suo popolo e del progetto su di esso (Is 46,10). Il rapporto Dio-uomo si basa sulla memoria reciproca.

Nel testo evangelico non mancano espliciti richiami di Gesù a «ricordare»: «Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato» (Gv 16,14). La parabola del seminatore illustra la necessità di ricordare la parola ascoltata: «Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza» (Lc 8,15). A queste esortazioni di Gesù fa eco la predicazione della Chiesa primitiva: «Tutto ciò che avete udito fin da principio, rimanga in voi» (1Gv 2,24). Il cristiano è essenzialmente un uomo di buona memoria. La sua fede si fonda su un evento storico. Gesù Cristo; si nutre di un memoriale: l’Eucaristia; cresce con una forza che porta a far memoria: lo Spirito Santo,[27] ed ha un modello perfetto: Maria.

Maria, donna dal cuore memore, realizza in modo esemplare il primato dell’ascolto e della memoria caratteristico della spiritualità biblica. La memoria di Maria non si limita però agli eventi della sua vita terrena; quale Madre del Verbo divino incarnato, ella custodisce nel suo cuore tutta la storia umana che trova in Cristo il suo centro, la sua ricapitolazione e il suo significato più profondo. La persona di Gesù, la sua vita e le sue parole sono oggetto della memoria costante e penetrante di Maria. E in questa memoria è condensata la salvezza, è racchiuso l’amore infinito, è rispecchiato l’eterno. Ormai la storia di Gesù, e in Gesù tutta la storia dell’umanità, è diventata la storia di Maria. Non solo, ogni singolo uomo è entrato nella storia di Maria, dal momento che Gesù sulla croce ha voluto lasciare in eredità ad ogni uomo la sua Madre, come un dono personale. «Affidandosi filialmente a Maria, il cristiano, come l’apostolo Giovanni, accoglie “fra le sue cose proprie” la Madre di Cristo e la introduce in tutto lo spazio della propria vita interiore».[28] E Maria, accogliendo ogni figlio affidatole personalmente da Cristo stesso, lo introduce nel suo cuore materno e memore.

3.2. Monumento-testimonianza

 

«Quando venne la pienezza del tempo Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4). In questo unico riferimento mariano di Paolo, l’espressione «nato da donna» appare generica, ma racchiude un significato profondo. Maria non viene presentata con il suo nome proprio, ma nella sua identità di Madre del Salvatore, collaboratrice nell’umanizzazione di Dio, pienamente inserita in questo grande mistero da protagonista e testimone.

Testimoniando la realtà dell’Incarnazione Maria è testimone di tutta l’economia della salvezza che inizia a realizzarsi con il suo fiat al progetto divino. Dio vuole trovare in lei la premessa umana e il fondamento antropologico del suo essere Emmanuele e Salvatore. E Maria, accogliendo il progetto di Dio, mostra quanto grande sia l’amore di Dio per l’uomo e con quale profonda umanità Egli realizzi la sua salvezza. Dio, infatti, non ha voluto salvare l’uomo al di fuori del mondo e della storia, bensì entrando nel contesto vitale dell’uomo e facendosi uomo.

La testimonianza di Maria non si esaurisce nel garantire la realtà storica dell’incarnazione. Ella è intensamente coinvolta e partecipa personalmente all’evento di Cristo, dalla sua nascita alla sua morte e risurrezione, il suo inserimento nel mistero di Cristo è talmente forte che non vi è episodio della sua vita, dalla sua immacolata concezione fino alla sua gloriosa assunzione in cielo, che non debba essere visto in rapporto al suo Figlio. «Unita a Lui da uno stretto e indissolubile vincolo»,[29] Maria può essere contemplata come un «monumento vivo e perenne» che testimonia l’identità, la vita e la missione di Gesù da Madre, da discepola e da annunciatrice.

Come «testimone singolare del mistero di Cristo»[30] Maria si trova con Cristo e in Cristo al centro dell’economia della salvezza. Se Cristo è «insieme il mediatore e la pienezza di tutta la Rivelazione»,[31] Maria è il riflesso di questa pienezza. Ella stessa «confessa di essersi trovata nel cuore stesso di questa pienezza di Cristo. È consapevole che in lei, […] come Madre di Cristo, converge tutta l’economia salvifica».[32] Mentre riassume e personalizza il passato, Maria diventa inizio del nuovo che nasce. In lei avviene il passaggio dal tempo dell’attesa al tempo della realtà: è il segno della «pienezza del tempo» (Gal 4,4), anello che congiunge l’Antico Testamento con il Nuovo e che unifica tutta la storia nel piano salvifico di Dio. In questo senso Ruperto di Deutz (+ 1130) scrive: «Il Verbo di Dio nell’Antico Testamento prendeva corpo e voce nella bocca dei profeti in attesa di prendere carne nel seno di Maria».[33]

Concentrando in sé tutta la storia della salvezza Maria «riunisce per così dire e riverbera i massimi dati della fede».[34] È «come uno specchio, in cui si riflettono nel modo più profondo e più limpido “le grandi opere di Dio” (At2,11)».[35] Vi è di più: in questo «specchio» si riflette pure lo stile inconfondibile, o la logica insolita all’umana previsione, con cui Dio opera, una logica confermata e radicalizzata da Cristo e resa principio di vita per tutta la Chiesa. Si tratta della logica che esalta gli umili e abbassa i superbi (Lc 1,51-53), la logica delle beatitudini evangeliche, la logica del servizio, della kenosi e della Pasqua attraverso la croce. Tutto questo Maria ha sperimentato nella sua vita in intima unione con il suo Figlio. Proclamando l’irrompere della salvezza nella storia Maria può testimoniare pure che le vie di Dio non sono le vie degli uomini (Is 55,8), che Dio ama fare “grandi cose” servendosi dei piccoli e degli umili, che Egli è un Dio sorprendente.

 

3.3. Monumento-profezia

Nell’Antico Testamento la funzione principale dei profeti è quella d’essere messaggeri, portavoce di Dio. Partecipe della sollecitudine di Dio per l’uomo, il profeta fa conoscere la volontà di Dio nella realtà presente e nella situazione storica concreta; allo stesso tempo, come sentinella in mezzo agli uomini, il profeta vigila, discerne, e s’impegna con premura perché la sollecitudine divina venga accolta e corrisposta. Ha un intenso rapporto di comunicazione bipolare: con Dio e con l’uomo, ha le antenne tese sia verso la sfera di Dio come verso la storia umana.

Anche Maria svolge il ruolo del profeta in quanto ella «si presenta davanti agli uomini come portavoce della volontà del Figlio, indicatrice di quelle esigenze che devono essere soddisfatte, affinché la potenza salvifica del Messia possa manifestarsi».[36]

Già dalla descrizione dell’atteggiamento costante di Maria accanto a Cristo: «custodire le cose meditandole nel cuore» (Lc 2,19.51b) si intravvede la qualità sapienziale e profetica di Maria in quanto sa vedere in profondità, sa cogliere nei fatti il disegno di Dio, sa scrutare i segni, grandi e piccoli, per scoprirvi i passi di Dio. Maria, «infatti, non solo conserva nel cuore tutti gli eventi che riguardano il figlio, ma al tempo stesso li “pone a confronto”, li “simbolizza”, dice il testo greco di Lc 2,19 (symbállusa). Il verbo symbállô, usato qui dall’evangelista, vuol dire mettere insieme i diversi elementi o aspetti di una situazione alquanto enigmatica, in vista appunto di “interpretarla”, di “darne la retta spiegazione”, insomma di “farne l’esegesi”».[37]

Camminando «in fretta verso la montagna» per andare da Elisabetta (Lc 1,39-56) Maria è come il messaggero che reca il lieto messaggio al popolo d’Israele. La gioia le mette le ali ai piedi, la bellezza del messaggio lefa dimenticare la distanza, il rischio e la fatica del viaggio. La sua visita è caratterizzata dalla gioia, dalla benedizione, dalla lode, dalla solidarietà affettuosa, dal servizio premuroso. Maria annunciando la buona notizia della venuta di Dio nel mondo diventa ella stessa una buona notizia, «un segno di speranza e di consolazione»[38] e fonte di gioia.

Nel suo canto del Magnificat scaturito da quell’incontro traspare quella sapienza profetica che unisce in armonia il più grande trasporto nei confronti di Dio e il più grande realismo critico nei confronti del mondo e della storia. “La sua misericordia si stende di generazione in generazione… egli ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia”: Maria segue la filigrana ininterrotta delle azioni di Dio e coglie con stupore la multiforme manifestazione dell’amore misericordioso di Dio dentro il divenire confuso delle opere umana. “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi…”: Dio trasforma il mondo operando un capovolgimento delle situazioni. È lui il Signore assoluto che guida tutto secondo la sua sapienza i suoi criteri, anche se questi possono apparire contrari alla logica umana. La storia comunque è segnata dalla speranza perché è ricordata da Dio “per sempre”. Nonostante i segni di morte, le sofferenze, le ingiustizie, il mondo è oggetto di sollecitudine di Dio. La fiducia in lui che “ha soccorso Israele, suo servo” fa nascere sempre nuova speranza e nuova energia di bene.

A Cana (Gv 2,1-11) il ruolo profetico di Maria si manifesta con molta chiarezza. Mentre tutti gli altri partecipanti alle nozze sono immersi nella festa e nessuno si accorge del problema, Maria ne pone già il rimedio. Maria vede l’insieme, coglie tutto senza trascurare i particolari, legge in profondità la storia umana, ne individua le difficoltà ancora nascoste, raccoglie i gemiti non ancora verbalizzati, scorge la sofferenza ancora senza nome. Una volta percepiti i problemi, Maria li affronta con discrezione e sollecitudine, senza drammatizzarli. Ella è l’immagine della Chiesa che «scruta i segni dei tempi, interpreta e vive gli eventi della storia».[39] Con semplicità, delicatezza e un fine riferimento alle persone che subiscono il disagio della situazione, Maria presenta la situazione a Gesù: «Non hanno vino»; e intanto, intrepida e fiduciosa, prepara i servi ad accogliere l’intervento di Gesù, in qualunque modo esso avvenga: «Fate quello che egli vi dirà». Maria «si pone in mezzo».[40] Il suo «andare incontro ai bisogni dell’uomo significa, al tempo stesso, introdurli nel raggio della missione messianica e della potenza salvifica di Cristo».[41] L’azione mediatrice e profetica di Maria è efficace: ottiene l’intervento del Figlio Salvatore e l’obbedienza dei servi.

La parola di Maria ai servi: «Fate quello che egli vi dirà» è, tra le poche parole di Maria tramandateci nei Vangeli, l’unica rivolta direttamente agli uomini e perciò denominata dai mariologi «il comandamento della Vergine». È anche l’ultima parola sua registrata nel Vangelo, quasi un «testamento spirituale». Dopo questo Maria non parlerà più; ha detto l’essenziale aprendo i cuori a Gesù, lui solo ha «parole di vita eterna» (Gv 6,68). In questa parola di Maria si percepiscono gli echi della formula dell’alleanza sinaitica. A conclusione dell’alleanza il popolo promette: «Quello che il Signore ha detto, noi lo faremo» (Es 19,8; 24,3.7; Dt 5,27). Maria non solo personifica Israele obbediente all’alleanza, ma è anche colei che induce all’obbedienza, ormai non più all’alleanza, ma a Gesù, da cui prende inizio una nuova alleanza e un nuovo popolo. Ciò emerge con maggior evidenza se si legge questa parola di Maria in parallelo con le ultime parole di Gesù Risorto nel Vangelo di Matteo: «Fate discepoli tutti i popoli […] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19).

Maria conduce dunque a seguire Gesù, a obbedire alla sua parola e a considerarlo come riferimento assoluto. Maria aiuta a formare la comunità nuova di Gesù, anzi, aiuta Gesù a farsi degli amici nel senso che Egli stesso ha detto: «Voi siete miei amici, se farete ciò che vi comando» (Gv 15,14).

Il «Fate quello che egli vi dirà» pronunciato da Maria non è un invito teorico, astratto, ma è un’esortazione maturata dall’esperienza personale. La parola va nel cuore e nella vita dell’interlocutore solo se è scaturita dal cuore e dalla vita di chi parla. Maria, esperta nel fidarsi della parola di Dio, ora può aiutare altri a fare altrettanto. La sua fede è contagiosa, il fiat vissuto in profondità da lei diventa facite convincente rivolto ad altri. Colei che ha custodito tutti i segni di salvezza nel suo cuore, ora dispone i cuori di altri ad accogliere il nuovo segno messianico. La prima credente ora suscita la fede dei discepoli, la prima evangelizzata diventa evangelizzatrice, la prima cristiana diventa portatrice di Cristo e a Cristo, la prima redenta diventa corredentrice, la perfettamente conformata alla volontà di Dio diventa portavoce di questa volontà, la serva del Signore si mette a servizio per la salvezza degli uomini. La donna di memoria, la testimone di Gesù è sempre e dappertutto profeta e ausiliatrice dei credenti.

  1. Maria monumento vivo di riconoscenza

Innalzare un monumento significa anche esprimere riconoscenza. Il ricordare porta a riconoscere e a ringraziare. Così canta un salmo: «Quando nel mio letto di te mi ricordo e penso a te nelle veglie notturne, a te che sei stato il mio aiuto, esulto di gioia all’ombra delle tue ali» (Sal 63,7). Le preghiere di ringraziamento contenute nella Bibbia sono tutte effusione d’animo dell’orante, partendo dall’esperienza della grandezza e dell’amore infinito di Dio verso di lui come individuo, come popolo o come creatura che vive nel cosmo e nella storia.

Nel Vangelo il rapporto filiale di Gesù si esprime anzitutto in amore riconoscente. Questo intenso amore è espresso in un continuo dinamismo di «essere dono» – «ringraziare» – «farsi dono», ed è reso perennemente presente nella storia attraverso l’Eucaristia per coinvolgere tutto e tutti.

La prima ad essere coinvolta è Maria, la cui esistenza è tutta un flusso di «grazia» e di «grazie» nell’immensa corrente d’amore che viene da Dio. La «piena di grazia» trasforma la propria vita in una «lode di grazie» per diventare «dono di grazia» affidato dal Figlio a tutta l’umanità.

4.1. Maria dono di grazia

Per presentare Maria nel piano salvifico di Dio, l’esortazione apostolica Redemptoris Mater opportunamente interpreta la figura di Maria con l’aiuto del celebre testo paolino: Ef 1,3-4: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità». Giovanni Paolo II vede questa benedizione riversata su Maria «in misura speciale ed eccezionale», perché «Maria è in modo eccezionale unita a Cristo, e parimenti è amata in questo Figlio diletto eternamente».[42] Per questa sua elezione divina in Cristo tutta la sua vita è posta sotto il segno della benedizione. «Capolavoro dell’amore preveniente di Dio, Maria porta in sé come nessun’altra creatura quella bellezza di grazia che risplende sul volto di Cristo. In lui è amata e benedetta; in lui è benedizione per l’umanità».[43]

Questa benedizione sovrabbondante su Maria si riflette nel saluto dell’angelo nell’episodio dell’annunciazione: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). L’appellativo «piena di grazia» (kecharitomene) tradotto alla lettera: «tu che sei stata e rimani colmata dai favore divino»[44] definisce Maria nella sua relazione con Dio. Maria è la «graziata», l’«amata» da Dio. Il dono gratuito di Dio investe continuamente e riempie completamente la sua vita. Ciò che Giovanni dice dei credenti in Gesù: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» (Gv 1,16) si realizza in modo sublime in Maria. E Maria, da parte sua, è costantemente aperta alla sovrabbondante grazia divina. Si tratta di un rapporto dinamico. Più Dio ama la sua creatura e più lei si dilata. E più si dilata e più Dio la invade con la sua grazia. Maria è lo spazio personale sempre in crescita, un «monumento» sempre vivo della amore gratuito di Dio.

La Chiesa ha sempre contemplato e celebrato lo splendore di tale dono di grazie rifulso su Maria. Per grazia Maria è stata totalmente santificata da Dio che l’ha formata tutta santa, tutta bella, senza macchia alcuna di peccato; per grazia Maria è diventata Madre di Cristo, nel suo grembo verginale è «germinato questo fiore»,[45] che è «il segno più sorprendente d’amore di Dio»;[46] per grazia, terminata la sua vita terrena, è assunta in cielo, dove brilla gloriosa quale immagine della pienezza dell’umano e segno di speranza per la Chiesa pellegrina.

4.2. Maria inno di grazie

Al dono gratuito corrisponde la libertà riconoscente. All’appellativo «piena di grazia» da parte del messaggero di Dio corrisponde il fiat e il magnificat di Maria.

«Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38). La risposta di Maria è un gioioso consenso alla proposta di Dio. Umile e libera si apre totalmente alla gratuità. Questa apertura l’ha resa capace di coniugare contemporaneamente il vuoto più completo di sé e la ricchezza più piena che riceve, di unire in sé l’umano con il divino. Maria è quindi il sì di Dio all’uomo, la prova più convincente che Egli si fida dell’umanità, perché ha voluto chiamare una di loro a svolgere il ruolo di «ausiliatrice» nella sua opera di salvezza. Allo stesso tempo Maria è il sì dell’umanità a Dio, la misura della grandezza dell’uomo e della donna quando si apre alla gratuità di Dio. «La posizione di Maria costituisce, quindi, un anello di congiunzione tra l’evento obiettivo della salvezza che si compie nella sua realtà storica […] e la partecipazione soggettiva di ogni singolo credente».[47]

La compresenza del «vuoto di sé» e della «pienezza di grazia» nella coscienza di Maria la fa esplodere nel ringraziamento: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,46-48).[48] L’umiltà, la coscienza della grandezza di Dio, lo stupore, la riconoscenza: sono sentimenti collegati che crescono in diretta proporzione. Più una creatura si sente piccola più scopre e riconosce la grandezza di Dio; più la differenza infinita tra Dio e se stessa è percepita, più cresce lo stupore e la gratitudine verso Dio. In Maria tutti questi sentimenti raggiungono il grado massimo. «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente» (Lc 1,49).

Contemplando con lo stupore dei piccoli le «grandi cose» che Dio opera in lei, Maria allarga lo sguardo e scopre con particolare sensibilità i tanti segni d’amore dello stesso Dio sparsi nel mondo, lungo la storia e nella vita di molte persone. «I testi evangelici consentono di intuire che Maria è stata resa capace dallo Spirito santo di osservare le vicende della propria vita (Lc 1,48-49) e dell’intera umanità (vv.50-56) e di intravvedervi – in modo “eucaristico” (cf Rm 1,21c: ēucharísthēsan) – l’azione potentemente salvifica di Dio. Rendendosi conto così dello splendore della salvezza che Dio stava realizzando proprio per mezzo di lei. Maria lo magnifica con gioia (Lc 1,46b-47)».[49] Intonando il suo canto di ringraziamento ella si fa voce di tutti quelli che, come lei, si aprono al dono gratuito e così «primeggia fra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da Lui la salvezza».[50] Per questo fin dall’epoca patristica la tradizione vede nel Magnificat un canto corale di tutta la Chiesa intonata da Maria, il «nuovo canto» dell’era cristiana.[51]È molto significativo che la Liturgia delle Ore termina ogni sera la preghiera del Vespro con questo canto. La Chiesa vuol esprimere ogni fine della giornata il suo ringraziamento a Dio con Maria, sua «immagine purissima».[52]

 

  1. Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice monumento vivo di riconoscenza a Maria

 

Innalzare un monumento, in qualunque modo questo avvenga, è sempre un illustrare ciò che afferma il Cantico dei Cantici: «Forte come la morte è l’amore» (Ct 8,6). Chi ama, vuole che il suo amore non si spenga mai, ma che sfidi il tempo, trascenda la caducità umana e si prolunghi oltre la propria esistenza. Chi ha il cuore colmo di riconoscenza, vuole che il suo «grazie» non cessi mai e che risuoni sempre nuovo e sempre fresco coinvolgendo altri cuori. L’amore riconoscente è inventivo, fecondo ed immortale, vuol lasciare dei segni permanenti, dei ricordi che non si cancellano mai.

Già Gesù, prima di partire da questo mondo: «dopo aver amato i suoi, li amò sino alla fine» (Gv 13,1), ci lasciò un monumento, un memoriale del suo amore per noi e del suo ringraziamento al Padre: l’Eucaristia.

Similmente la sua madre Maria ha voluto perpetuare il suo grazie a Dio con un monumento di parole, un canto destinato a risuonare «di generazione in generazione», un canto bello, sempre fresco e vivo, mai consunto dal tempo, un canto con cui la Chiesa in tutto il mondo ogni sera si abbellisce per Cristo, suo Sposo : il Magnificat.

Nella stessa logica don Bosco ha cercato di esprimere la sua infinita gratitudine per Dio e per Maria con un monumento vivo: l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Come consacrate nella Chiesa le FMA s’impegnano ad essere «memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù»,[53] un impegno che realizzano sotto la guida di Maria «Madre e Maestra».[54] Appropriandosi dell’atteggiamento di Maria, in particolare della sua «umiltà gioiosa del Magnificat»[55] le FMA rendono le loro comunità luogo dove continua questo suo canto di grazia.[56] In questo modo adempiono il desiderio del Fondatore don Bosco che ha voluto l’Istituto un monumento vivo di riconoscenza a Maria. Il grazie a Maria si fonde nel grazie di Maria per formare un unico gioioso ed incessante inno di ringraziamento a Dio.

Come monumento vivo di riconoscenza a Maria l’Istituto delle FMA è coinvolto dallo stesso flusso dell’ «essere dono di grazia», «rendere grazie» e «farsi dono di grazia», che ha caratterizzato l’esistenza di Gesù e di sua Madre. Le FMA sanno che l’Istituto è un “dono dello Spirito Santo”, nato «con l’intervento diretto di Maria»,[57] che la loro vocazione è una risposta al Padre che in Cristo le consacra, le raduna e le manda.[58] «In atteggiamento di fede e di gratitudine a Dio», esse donano la loro vita al Signore «diventando tra le giovani segno ed espressione del suo amore perveniente».[59]

Essere monumento vivo di riconoscenza a Maria vuol dire prolungare la presenza materna di Maria nel mondo, per questo le FMA promettono di vivere «come lei “ausiliatrici” soprattutto fra le giovani».[60] Modellate su Maria, che è un monumento di memoria, testimonianza e profezia, le FMA s’impegnano ad essere «segno d’amore», trasparenza di valori eterni. Radicate nel mistero di Cristo, centro della loro esistenza, imparano da Maria a custodire nel proprio cuore ogni manifestazione d’amore di Dio, a dilatare il proprio cuore configurandolo a quello di Cristo, e a «far crescere Cristo nel cuore delle giovani»[61] mediante un’opera educativa sapiente.

In preparazione alla celebrazione del secondo centenario della nascita di don Bosco le Figlie di Maria Ausiliatrice desiderano testimoniare con la propria vita l’intensa relazione che il Santo ha avuto con Maria: una relazione filiale e riconoscente che egli voleva prolungata nel tempo. Nel 140° anniversario della loro fondazione, l’impegno rinnovato di vivere l’identità di «monumento vivo di riconoscenza a Maria» sarà un omaggio significativo che renderanno al loro Fondatore e Padre.

[1] Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, Cronistoria I. La preparazione e la fondazione 1828-1872, Roma, Scuola tip. Privata FMA 1974, 306.

[2] Eliade Mircea, Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magico-religioso, Milano, Jaca Book 1981, 16.

[3] Cf Concilio Ecumenico Vaticano ii, Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione:Dei Verbum n.2.

[4] Evdokimov Pavel, La teologia della bellezza. Il senso della bellezza e l’icona = Biblioteca di cultura religiosa, Seconda serie 122, Roma, Ed. Paoline1971, 46.

[5] Ivi 47.

[6] Dalcerri Lina, Monumento vivo della gratitudine di Don Bosco a Maria SS. Aiuto dei cristiani, Roma, Esse Gi Esse 19843, 9.

[7] Lemoyne Giovanni  Battista – Amadei Angelo, Memorie biografiche del venerabile Don Giovanni Bosco [MB] X, Torino, S.E.I. 1939, 600.

[8] Rinaldi Filippo, Lettera alla Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice [M. Caterina Daghero] in data 24 maggio 1922, stampata dall’Istituto FMA, Nizza Monferrato, 1922. La lettera è stata scritta in occasione del cinquantenario dell’Istituto.

[9] La Madonna stessa disse a don Bosco nel sogno indicandogli il Santuario: «Hic domus mea, inde gloria mea» (cf Bosco Giovanni, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855, Saggio introduttivo e note storiche a cura di Aldo Giraudo, Roma, LAS 2011, 135.155.

[10] MB IX, 247.

[11] L. cit.

[12] Cf Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, Costituzioni e Regolamenti [Cost], Roma, Istituto FMA 1982, art. 4; e i testi precedenti: Costituzioni1969, art.1; Costituzioni 1975, art.1.

[13] Paolo VI, Discorso alle Figlie di Maria Ausiliatrice (15 luglio 1972), riportato in Costituzioni1982, 288-297.

[14] Giovanni Paolo II, Discorso alle Figlie di Maria Ausiliatrice (12 dicembre 1981), riportato in Costituzioni 1982, 298-302.

[15] Concilio Ecumenico Vaticano, Costituzione sulla Sacra Liturgia: Sacrosanctum Concilium, n. 103.

[16] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica: Redemptoris Mater [RM], 1987, n. 26.

[17] RM n.36.

[18] Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, Cronistoria III. Da Nizza Monferrato nuova espansione con Madre Mazzarello (1879-1881), Roma, Scuola tip. Privata FMA 1976, 216.

[19] Rinaldi Filipo, Lettera citata alla nota 10.

[20] Rinaldi Filippo, Lettera alla Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice [M. Luisa Vaschetti] in data 21 novembre 1927, stampata dall’Istituto FMA, Nizza Monferrato, 1927.

[21] Paolo VI, Discorso citato alla nota 15.

[22] Benedetto XVI, Lettera enciclica sull’amore cristiano: Deus caritas est, Città del Vaticano, Liberia Editrice Vaticana, 2006, n.1. L’affermazione è ribadita dal Papa anche nella sua Esortazione Apostolica postsinodale sulla parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa: Verbum Domini, Città del Vaticano, Liberia Editrice Vaticana, 2010, n.11.

[23] Gaspari Sergio, La funzione mistagogica di Maria nell’esperienza liturgica, in Aa.Vv. Maria modello ed educatrice dell’uomo nuovo in Cristo. Atti delle XVV Settimana mariana nazionale, Roma, Collegamento mariano nazionale, 1986, 93-108.

[24] Quest’espressione è molto studiata e commentata lungo la storia della Chiesa. Per un’esegesi accurata cf Serra Aristide, Sapienza e contemplazione di Maria secondo Lc 2,19.51b, Roma, Edizioni Marianum 1982. Il volume offre pure un’antologia di testi che commentano Lc2,19.51b. Essi vanno dai Padri e Scrittori ecclesiastici, a partire da Origene.

[25] Cf Michel Otto, mimneskomai, in  Kittel Gerhard – Friedrich Gerhard, Grande Lessico del Nuovo Testamento VII, Brescia, Paidea 1971, 299-322. Vignolo Roberto (ed.), Scrittura e memoria canonica. All’incrocio tra ontologia, storia e teologia. Atti del VII Seminario Biblico in onore di Mons. Giuseppe Segalla, 22 maggio 2006, Glossa, Milano 2007.

[26]Cf Mazzinghi Luca, «Ricordare» e «Non dimenticare» nel Libro dei Salmi, in Parola Spirito e Vita, 56(2007), 35-48. Lo stesso tema è ricorrente nei profeti, cf Virgili Dal Prà Rosanna, «Non ti ricordasti … Ti ricorderai» (Ez 16,22.60.61; Os 2): Gratitudine e ingratitudine, nello stesso numero monografico di Parola Spirito e Vita, 49-64.

[27] Cf Gv 14,26: «Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

[28] RM n. 45.

[29] Concilio Ecumenico Vaticano, Costituzione dogmatica sulla Chiesa: Lumen Gentium [LG], n. 58.

[30] RM n. 26.

[31] DV n. 2.

[32] RM n. 36.

[33] Ruperto di Deutz, In Joannem XII, in PL 169,734B.

[34] LG n. 65.

[35] RM n. 25.

[36] RM n. 21.

[37] Serra A. «E sua madre conservava tutte queste cose» (Lc 2,51b). Una fede ricca di memoria, in Id., Maria di Nazaret. Una fede in cammino, Milano, Ed. Paoline 1993, 35.

[38] LG n. 68.

[39] Paolo VI, Esortazione apostolica sul culto della Vergine Maria: Marialis cultus [MC], 1979, n.17.

[40] RM n. 21.

[41] L. cit.

[42] RM n. 8.

[43] Scrive così M. Antonia Colombo, Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice dal 1996 al 2008, nella sua lettera circolare di convocazione del Capitolo Generale XXII, cir. n. 882, 24 gennaio, 2007, in De Vietro franca, In comunione su strade di speranza. Circolari di Madre Antonia Colombo, Milano, Ed. Paoline 2009, 759.

[44] L’appellativo è raro nel greco biblico, appare solo in Sir 9,8; 18,17; nel Nuovo Testamento solo in Ef 1,6, a proposito di Dio che ha donato la grazia ai credenti in Cristo. Vedi De la Potterie Ignace, L’annuncio a Maria (Lc 1.26-38), in Parola Spirito e Vita, 6(1982), 55-73; Stock Klemens, La vocazione di Maria: Lc 1,26-38, in Marianum 45(1983), 94-126; Della Corte Ernesto, Kecharitomene, crux interpretum, in Marianum 52(1990), 101-149; Cimosa Mario, Il senso del titolo Kecharitomene in Theotokos 4(1996)2, 589-597; Valentini Alberto, Maria secondo le Scritture. Figlia di Sion e Madre del Signore, Bologna, Dehoniane 2007, 89-105; Aiosa Clara, «Rallegrati, colmata di grazia» (Lc 1,28). La Figlia di Sion aurora di nuova umanità, in Aloise Maurizio – De Fiores Stefano – Silvestre Pino (ed.), Maria segno e modello della nuova umanità riconciliata in Cristo. Atti del 24° colloquio internazionale di mariologia, Torre di Ruggiero, 28-39 sett. 2008, Roma, Ed. AMI 2010, 19-47.

[45] Alighieri Dante, La divina commedia, Paradiso, XXXIII, 9.

[46] Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, Più grande di tutto è l’amore. Atti del Capitolo generale XXII [Atti CGXII], Roma, Istituto FMA 2008, 29.

[47] Bordoni Marcello, L’evento Cristo e il ruolo di Maria nel farsi dell’Evento, in Aa.Vv., Sviluppi teologici postconciliari e mariologia, Roma, Città Nuova 1977, 49.

[48] Per l’analisi esegetica del canto del Magnificat si veda Valentini Alberto, Il Magnificat. Genere letterario, struttura, esegesi, Bologna, Ed. Dehoniane 1987; Peretto Elio, «Magnificat», in De Fiores Stefano – Meo Salvatore (ed.), Nuovo Dizionario di Mariologia, Cinisello Balsamo, Paoline 1985, 853-865; Niccacci Alviero, Magnificat. Una ricerca sulle tonalità dominanti, in Liber Annuus. Studium Biblicum Franciscanum, XLIX(1999), 65-78; Dupont Jacques, Il Cantico della Vergine Maria (Lc 1,46-55), in Parola Spirito e Vita 3(1981), 89-105. Per una riflessione spirituale, antropologico-pastorale si veda Ko Ha Fong Maria, Riflessioni sul Magnificat, Vicenza, Ed. Istituto San Gaetano 2005; 210; Capitolo Generale dei Servi di Maria, Servo del Magnificat. Il cantico della Vergine e la vita consacrata, Roma, Curia Generale OSM, 1996; PalumbieriSabino, Un «Magnificat» per il Terzo Millennio. Dimensione antropologica del cantico, Milano, Ed. Paoline 1998; Aa.Vv., Il canto della Figlia di Sion (Lc 1,46-55). Numero monografico di Theotokos 5(1997)2, 391-706; Lambiasi Francesco, Magnificat. Lectio divina su Luca 1,46-55, in Consacrazione e Servizio (2009)5, 15-28.

[49] Manzi Franco, La bellezza e l’esperienza «estetica» di Maria «colmata di grazia», in Theotokos 13(2005)1-2, 140

[50] LG n. 55.

[51] Si legge nel Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2619: Il Magnificat «rappresenta ad un tempo il cantico della Madre di Dio e quello della Chiesa, cantico della Figlia di Sion e del nuovo popolo di Dio, cantico di ringraziamento per la pienezza di grazie elargite nell’Economia della salvezza, cantico dei “poveri”, la cui speranza si realizza mediante il compimento delle promesse fatte ai nostri padri, “ad Abramo e alla sua discendenza per sempre”».

[52] SC n. 103.

[53] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale: Vita consecrata, 1996, n. 22. Quest’impegno è stato ribadito con forza nel Capitolo Generale XXII delle FMA (cf Atti CGXII n.15).

[54] Cost art. 1.

[55] Cost art. 4.

[56] Cf Cost art. 62.

[57] Cost art.1.

[58] Cf Cost art. 8.

[59] Cost art. 1.

[60] Cost art. 4.

[61] Cost art. 7.

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