Riflessioni su Gv 2,1-11 con sensibilità salesiana

Sr. KO Ha Fong Maria

Sr. KO Ha Fong Maria

1Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.

3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.

9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. 12Dopo questo fatto scese a Cafàrnao, insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli. Là rimasero pochi giorni.

L’approfondimento del testo verrà fatto considerando 4 prospettive:

  1. Una visione globale del testo per rilevarne la ricchezza di elementi significativi
  2. Un’attenzione particolare alle due parole pronunciate da Maria
  3. Una rilettura del testo nell’orizzonte più ampio del mistero della salvezza, per cogliere i legami tra questo episodio e altri fatti che rivelano il piano divino
  4. Un approccio salesiano al testo
  1. Visione globale
  • La collocazione del testo all’interno del Vangelo di Giovanni
  • Nella dinamica del racconto di Giovanni l’episodio si trova all’inizio della vita pubblica di Gesù. Dopo il cap.1 che comprende un poema di altissima densità teologica sull’identità di Gesù, la testimonianza di Giovanni Battista (1,19-34) e la chiamata-sequela dei primi discepoli (1,35-52), il cap. 2 si apre con un’aria di festa. Gesù inizia la sua missione partecipando a una festa di nozze, ad una festa dell’amore. Egli si inserisce nella sfera domestica, condivide la gioia umana semplice e pura, scende al nodo germinale della vita.
  • Nella trama del Vangelo i capitoli 2-4 formano una sezione, designata dagli studiosi Da Cana a Cana oppureDal primo al secondo “segno”. Difatti la sezione inizia con «… vi fu una festa di nozze a Cana… Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù» e termina con «Andò di nuovo a Cana di Galilea… Questo fu il secondo segno che Gesù fece». Il tema trasversale di questa sezione è la fede:

Il segno di Cana (2,1-12) – la fede piena di Maria contribuisce alla fede dei discepoli – Il simbolo del tempio (2,13-22) – la non fede dei Giudei

Tra queste due posizioni estreme Giovanni presenta 3 personaggi con 3 itinerari diversi di crescita di fede sotto la guida di Gesù:

Gesù con Nicodemo, che rappresenta il giudaismo ufficiale (2,23-3,36)

Gesù con la Samaritana, che rappresenta il giudaismo scismatico (4,1-42)

Gesù con il funzionario del re, che rappresenta il mondo pagano (4,43-54) 

  • La presenza del testo nella liturgia

Gv 2,1-12 viene letto

  • alla festa di Maria Ausiliatrice
  • nella II Domenica del Tempo Ordinario. È parte delle “tre epifanie” riconosciuta dalla tradizione della Chiesa fin dai primi secoli: la visita dei magi a Betlemme – manifestazione alle genti, il battesimo al Giordano – manifestazione a Israele, le nozze di Cana – manifestazione alla Chiesa. (cf antifona al Benedictus della solennità dell’Epifania del Signore).

  • La struttura del testo

A Introduzione ambientale del segno (vv.1-3a)

            Il dialogo tra Maria e Gesù (vv. 3b-5)

 B         Il dialogo tra Gesù e i servi (vv. 6-8)

            Il dialogo tra il dirigente del banchetto e lo sposo (vv. 9-10)

A’ Conclusione della narrazione (vv. 11-12)

  • Il tempo
  • il terzo giorno” – un’allusione al mistero pasquale
  • il settimo giorno” – un’allusione alla creazione. L’evangelista raggruppa i primi giorni della missione pubblica di Gesù (1,19-52) in una settimana scandita dall’indicazione “il giorno dopo” (1,29.35.43) e poi “tre giorni dopo”(2,1). Il segno di Cana accade quindi al settimo giorno.
  • la “mia ora”, il vino buono tenuto “finora” – una tensione verso l’ora della realizzazione del mistero pasquale

  • Il luogo

        Cana di Galilea, un villaggio a 8 km a nord-est di Nazaret.

  • I personaggi
  • Gesù al centro dell’episodio
  • Maria è menzionata ben 5 volte, non con il suo nome proprio, ma come “la madre di Gesù” (2 volte) o “sua madre” (2 volte). 1 volta è chiamata da Gesù con l’appellativo “donna”.
  • I discepoli: anch’essi sono presentati sempre in relazione a Gesù: “i suoi discepoli”. Essi sono importanti sia come testimoni del “segno” sia come soggetti di una trasformazione: essi “credettero in lui”.
  • I suoi fratelli” si uniscono ai “suoi discepoli” e a “sua madre” formando “insieme” una comunità di credenti attorno a Gesù.
  • I servi hanno un ruolo di rilievo, hanno eseguito i comandi di Gesù su consiglio di Maria e si sono lasciati coinvolgere, collaborando al miracolo.
  • Colui che dirige il banchetto “non sapeva da dove venisse il vino”, è l’uomo che resta ai margini, incapace di entrare nella novità che lo trascende.
  • Lo sposo rimane sullo sfondo, passivo, beneficiario di un grande dono divino, ma non se ne accorge.
  • La sposa non compare sulla scena, se ne suppone però la presenza.

  • I simboli
  • Le nozze: sono una delle più alte espressioni dell’amore, della vita, della comunione e della fedeltà; sono il simbolo dell’alleanza tra Dio e l’umanità, della relazione tra Cristo e la Chiesa.
  • Alle nozze sono uniti i temi della felicità, della festa, del banchetto
  • Il vino: simbolo della gioia, dell’amore, della salvezza escatologica
  • L’acqua: simbolo di vita, di dinamismo e freschezza, simbolo della generosità di Dio a favore dell’umanità
  • Le sei anfore di pietra: servono per le purificazioni rituali; ma ora sono vuote, pesanti, incapaci di svolgere il loro compito. Sono 6, segno di imperfezione, ma anche di apertura alla pienezza. Sono lì, in attesa d’essere riempite e trasformate in contenitori di vino nuovo.

  • Le parole pronunciate

        2 di Maria, 2 di Gesù, 1 di colui che dirige il banchetto

  • Affermazioni di valore teologico
  • l’inizio dei segni
  • egli manifestò la sua gloria
  • i suoi discepoli credettero in lui

  1. Le due parole di Maria

 

La presentazione biblica di Maria ha qualcosa di simile a un dipinto cinese sulla seta connotato da poche pennellate, molto spazio bianco, colori tenui, contorni non totalmente definiti, soggetti semplici, atmosfera di sacro silenzio. Le poche pennellate armoniosamente e sapientemente stemperate sprizzano energia; grazie ad esse anche lo spazio bianco diventa denso di significato. Il tutto invita a trascendersi, a lanciarsi verso l’infinito, a intuire il mistero, a fare esperienza dell’oltre, a dilatarsi nel bello. I pochi racconti evangelici su Maria formano con il molto spazio bianco che li circonda un tutto armonioso, dinamico, affascinante. De Maria numquam satis: non solo il parlare di Maria è inesauribile, ma anche la contemplazione dei pochi tratti evangelici su Maria non ha mai fine.

Nei Vangeli Maria pronuncia complessivamente 5 parole più un canto. Il suo parlare si presenta scarno, semplice, ma limpido, denso, incisivo, perché alimentato dal silenzio, sgorgato dalle profondità della vita, rivestito d’una sobria contemplazione. Alle nozze di Cana Maria parla 2 volte: si rivolge a Gesù e poi ai servi. Parla degli uomini a Gesù e di Gesù agli uomini. Ella sta totalmente dalla parte di Dio e totalmente dalla parte degli uomini, conosce il cuore grande e tenero di Dio e sa le fatiche, le gioie, la buona volontà e le debolezze dell’uomo. È allo stesso tempo avvocata nostra presso Dio e portavoce di Dio per noi.

1)  “Non hanno vino

Il vino viene meno: è una situazione possibile se si pensa che le feste di nozze duravano di solito sette giorni (cf Tb 11,20). Non il pane, non lo stretto necessario: è il vino che manca! Potrebbe non sembrare così grave. Invece lo è perché, senza vino, la festa rischia di naufragare. Nella sapienza ebraica e biblica il vino è segno di gioia e di godimento: «Il vino allieta il cuore dell’uomo» (Sal 104,15); «Il vino allieta la vita» (Qo 10,19); «Che vita è quella dove manca il vino? Fin dall’inizio è stato creato per la gioia degli uomini» (Sir 31,27). Il vino è associato all’amore (cf Ct 1,2-4; 2,4), al dono gratuito e abbondante di Dio; è anche simbolo dei beni che il Messia porterà alla sua venuta (cf Am 9,13; Is 25,6).

Senza il vino, manca quel quid, quel “qualcosa” che dà qualità alla vita, quel tocco che dà sapore, profumo, colore e bellezza a tutte le cose; manca quella passione, quell’emozione di gioia, di entusiasmo, di ardore, di eccedenza, di ebbrezza dello spirito, di festa interiore, quella spinta che rende creativi, coraggiosi e intraprendenti.

«Non hanno vino». Fa parte della crescita umana e spirituale il riconoscere con sincerità ciò che manca. Sembra una costante nello stile educativo di Gesù portare le persone alla nuda verità di se stessi, senza scuse e senza fughe. La samaritana, nel dialogo con Gesù è indotta ad ammettere «Non ho marito» (Gv 4, 17), prima di ricevere il dono della guarigione da Gesù; il paralitico alla piscina di Betzatà confessa la propria impotenza e isolamento, perché non ha nessuno che gli dia una mano al tempo opportuno (Gv 5,7).  Al giovane ricco Gesù dice espressamente: «Una cosa ti manca» (Mc 10,21).

A Cana è Maria che scopre la mancanza del vino. Ella è presente alla festa con attenzione e intensa partecipazione. Si siede alla tavola del banchetto senza ignorare ciò che capita in cucina; gioisce, conversa, ma si accorge del problema prima del suo sorgere.  Possiede lo sguardo dell’insieme senza, però, trascurare i particolari, legge in profondità la situazione concreta, ne individua le sfide ancora nascoste, raccoglie i gemiti non ancora verbalizzati, scorge i rischi ancora senza nome. Avendo quel “vino”, quella gioia in sé, ha una istintiva sensibilità a percepire dove questa non è presente. Invece, però, di agitarsi, di correre a comperare, di mettersi a  indagare la causa e a cercare il colpevole, ella si rivolge a Gesù sottoponendogli la situazione con una parola concisa, semplice, ma piena di fiducia. L’intercessione di Maria è immediata, discreta, essenziale, espressa con finezza femminile. Non dice «non c’è più vino» costatando un fatto oggettivo, ma «non hanno vino»: le stanno a cuore le persone. Maria non chiede un esplicito intervento miracoloso: non suggerisce niente, non domanda nulla, ma si affida totalmente al Figlio. E intanto corre dai servi preparandoli  ad aprirsi all’intervento di Gesù. Il “come”, lei stessa non lo sa.

La breve parola di Maria a Gesù trova un parallelo in quella delle sorelle di Lazzaro: «Colui che tu ami è malato» (Gv 11,3). Maria intercede con quelle disposizioni cui Gesù fa riferimento quando insegna ai suoi discepoli a pregare: «Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole, … il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate» (Mt 6,7-8).

2)  “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”

Questa è l’unica parola che, secondo il racconto dei Vangeli, Maria ha indirizzato agli uomini. A ragione viene considerata “il comandamento della Vergine”. È anche l’ultima parola, quasi un “testamento spirituale” consegnato a tutta l’umanità. Dopo questo Maria non parlerà più; ha detto l’essenziale aprendo i cuori a Gesù, il quale, solo, ha la«parola di vita eterna» (Gv 6,68).

Un testamento spirituale non è un comando freddo, una ricetta impersonale, un insegnamento teorico, astratto, ma nasce dall’esperienza più profonda e più matura: è una sintesi della sapienza di vita trasformata in espressione d’amore. La parola  riesce a penetrare nel cuore e nella vita dell’altro soltanto se scaturisce dal cuore e dalla vita. Nella consegna di un testamento spirituale alla persona amata si vuol donare ciò che ha reso bella la propria vita. In quella parola di Maria c’è, quindi, una condivisione di vita e di amore, c’è un riflesso autentico della sua vita interiore.

A Cana Maria è mediatrice, è hodigítria (colei che indica la via), è missionaria che mette in contatto con la sorgente che ha prima riempito di gioia la sua vita. Chiunque ha in sé una buona notizia, un fatto che lo riempie di gioia, si strugge dal desiderio di farne partecipi gli altri. Vediamo qui gli stessi sentimenti di Maria quando è corsa sulle montagne per 150 km per raggiungere la famiglia di Elisabetta.

Per Mariam ad Jesum. Maria conduce dunque a seguire Gesù, a obbedire alla sua parola e a considerarlo come riferimento assoluto. Maria aiuta a formare la comunità nuova di Gesù, anzi, aiuta Gesù a farsi degli amici nel senso da lui stesso proclamato: «Voi siete miei amici, se farete ciò che vi comando» (Gv 15,14). Ciò emerge con maggior evidenza se si legge quest’ultima parola di Maria in parallelo con le ultime parole di Gesù Risorto nel congedo dai discepoli: «Andate, fate discepoli tutti i popoli … insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19).

Inoltre l’imperativo «fatela», pronunciato con forza e sicurezza, anticipa in qualche modo ciò che Gesù dirà a più riprese lungo la sua vita: «Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21); «Chi mette in pratica la verità viene alla luce» (Gv 3,21); «Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia …» (Mt 7, 24-27). Al dottore della legge, cui non manca il “sapere” ma il “fare”, egli dice in modo lapidario : «Fa’ questo e vivrai!» (Lc 10,28.37).

 

  1. Una rete nel progetto divino

 

Una visione più ampia, collocando l’episodio di Cana nell’orizzonte di tutto il piano divino rivelato nella Bibbia, fa scoprire con stupore dei legami significativi, anzi una rete misteriosa. La contempliamo nella prospettiva dello spazio, tracciando una specie di “geografia della salvezza”.

 

1)  Cana e Sinai

Al monte Sinai «al terzo giorno» Dio «rivelò la sua gloria» e il popolo «credette» in lui (Es 19-24).  A Cana «il terzo giorno» Gesù «manifestò la sua gloria» e «i suoi discepoli credettero in lui».

La parola di Maria a Cana: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» sembra riecheggiare la risposta d’Israele all’alleanza sinaitica: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!» (Es 19,8; 24,3.7; Dt 5,7). A Cana Maria non solo personifica Israele obbediente all’alleanza, ma è anche colei che induca all’obbedienza nei confronti di Gesù, da cui prende inizio una nuova alleanza e un nuovo popolo.

2)  Cana e Nazaret

A Nazaret Maria pronuncia il suo fiat in risposta all’annuncio sorprendente dell’angelo Gabriele, a Cana il suo fiat (sia fatto) si evolve in facite (fate). Ella «ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45), ora contribuisce a suscitare la fede negli altri. Esperta nel fidarsi della Parola di Dio, ora può aiutare altri a fare altrettanto. La sua fede è contagiosa, il fiat da lei vissuto in profondità diventa  un facite convincente rivolto ad altri. Ciò vale anche per noi: solo una profonda intesa con Dio e una saggia comprensione del mondo possono dare efficacia alle nostre parole e azioni. Il facite con cui aiutiamo gli altri deve scaturire sempre dal nostro personale fiat di adesione a Dio.

3)  Cana e la teofania al Giordano e sul Tabor

Una voce dal cielo si è fatta udire due volte nei Vangeli, Il Padre ha voluto rendere pubblico il suo amore per il Figlio in due momenti importanti della sua vita: al battesimo sulla sponda del fiume Giordano (Mt 3,13-17; Mc 1,9-11; Lc 3,21-22) e alla trasfigurazione sul monte Tabor (Mt 17,1-8; Mc 9,2-8; Lc 9,28-36). Il battesimo segna l’inizio della missione pubblica di Gesù, mentre la trasfigurazione l’inizio del suo avviarsi verso l’evento pasquale. In tutte e due le occasioni, la parola del Padre consiste in un’affermazione d’amore, «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto», e in un comando: «Ascoltatelo!». La parola del Padre si sintonizza con quella della Madre: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». sono parole proclamate con amore e che conducono l’umanità a Gesù. La voce del Padre al Giordano e sul Tabor risuona solenne e misteriosa. La voce della Madre a Cana, semplice, discreta, soave, permeata di tenerezza materna e di sapienza femminile, è altrettanto potente ed efficace.

 

4)  Cana e Golgota

Maria a Cana (Gv 2,11) e Maria sul Golgota, sotto la croce, (Gv 19,25-27) sono gli unici brani del Vangelo di Giovanni in cui appare Maria. Essi sono posti nei due punti cardini del Vangelo: all’inizio e al culmine della missione terrena di Gesù ed hanno un legame profondo tra loro.

A Cana Gesù compie il suo primo «segno» e «manifestò la sua gloria» (Gv 2,11). Sulla croce si realizza l’ora della «glorificazione» del Figlio di Dio (cf Gv 12,23; 13,31): lo splendore dell’amore divino invade il mondo, permea la storia e «attira tutti» (Gv 12,32). Intorno al Dio crocifisso si radunano in unità tutti «i figli dispersi di Dio» (Gv 11,52), e Maria, la Madre, diventa Madre di una moltitudine di figli.

A Cana Maria indirizza, conduce e affida gli uomini a Gesù : «Qualsiasi cosa vi dica, fatela»; sul Golgota è Gesù che affida l’umanità, per cui ha dato la vita, alla Madre. A Cana, Maria si poneva in mezzo facendo la mediatrice tra suo Figlio e gli uomini; ora è il suo Figlio che fa da mediatore tra lei e gli uomini dicendole: «Donna, ecco il tuo figlio!». Il racconto di Giovanni termina con: «E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Gv 19,27). Da quel momento, mentre l’umanità redenta accoglie la Madre, Maria accoglie ogni figlio a lei affidato personalmente dal suo Figlio e lo introduce nel suo cuore materno, per sempre. 

  1. Una lettura con sensibilità salesiana

Qui di seguito vengono offerti alcuni spunti, in modo evocativo, per una lettura di Gv 2,1-12 con la sensibilità della FMA, cercando di scoprire linee di collegamento tra questo testo e la spiritualità salesiana.

  • La presenza di Maria
  • A Cana «c’era la madre di Gesù», sotto la croce «stava sua madre», al cenacolo era presente «Maria, la madre di Gesù». Maria è una presenza attenta, discreta, materna. È presente all’inizio, al compimento, alla svolta; presente alla festa, nel dolore, nell’attesa di un nuovo inizio; è una presenza che infonde sempre fiducia e speranza.
  • Dalle Costituzioni FMA: «Noi sentiamo Maria presente nella nostra vita e ci affidiamo totalmente a lei» (C 4); «Maria, Madre di Dio e della Chiesa, è attivamente presente nella nostra vita e nella storia dell’Istituto» (C 44).
  • Don Bosco a Nizza: «La Madonna passeggia in questa casa e la copre con il suo manto».

 

  • Maria Ausiliatrice a Cana
  • Maria Ausiliatrice è «la Madonna dei tempi difficili» nelle gravi difficoltà del mondo e della Chiesa: ella aiuta nei grandi avvenimenti, come la battaglia del Lepanto (1571), ma anche nelle piccole difficoltà di famiglia e di villaggio come a Cana. Una madre aiuta sempre, nelle grandi e nelle piccole occasioni, nello straordinario come nella quotidianità.
  • Maria è aiuto: aiuta Dio a prendersi cura concreta dei suoi figli, aiuta Gesù a realizzare la sua missione iniziando con il primo “segno”, aiuta gli amici a risolvere il problema, aiuta i discepoli a credere in Gesù.
  • Noi, FMA, «monumento vivo di riconoscenza a Maria», «vere immagini di Maria» dobbiamo diventare “ausiliatrici” con Maria e come Maria (Cost 4 e 1), nello stesso stile manifestato a Cana.

 

  • Maria a Cana, modello di pastorale giovanile salesiana
  • «Orientare le giovani e i giovani all’incontro con Gesù di Nazareth è l’obiettivo prioritario della pastorale giovanile delle FMA» (Linee di Orientamento per la Missione Educativa della FMA4). A Cana Maria conduce a Gesù, a obbedire alla sua parola e a considerarlo come riferimento assoluto.
  • «Nella certezza della presenza educatrice di Maria e docili al suo invito “Fate quello che egli vi dirà” (Gv 2, 5), ci lasciamo prendere per mano da lei per imparare giorno dopo giorno la sua pedagogia capace di trasformare la nostra vita e quella delle giovani e dei giovani» (Linee di Orientamento per la Missione Educativa della FMA, n.29).
  • Maria «ci porta verso Gesù, perché tutti, uomini e donne del mondo, possiamo diventare figli e figlie nel Figlio. E, come nelle nozze di Cana, la sua preoccupazione e predilezione materna è per tutti quelli che “non hanno più vino” (Gv 2,3): in particolare per i tanti giovani che non trovano il senso della loro vita perché non si sentono amati da Dio, ma si sentono emarginati per causa della loro condizione socio-economica, familiare, affettiva o professionale. Mentre noi ci rendiamo compagni di strada soprattutto per questi giovani “la Vergine Maria è una presenza materna in questo cammino. La facciamo conoscere come Colei che ha creduto, aiuta e infonde speranza” (Cost 34)» (La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di Riferimento, II,5, p.47).

 

  • Il vino nuovo, buono e abbondante nella spiritualità salesiana
  • Gesù dona loro un vino nuovo, un vino migliore, un vino abbondante (le sei giare contengono ciascuna tra 80 e 120 litri. La quantità totale è fra 480 e 720 litri), come abbondanti sono tutti i suoi doni prodigiosi (moltiplicazione dei pani e dei pesci con ceste piene di avanzi, pesca miracolosa con 153 grossi pesci). La generosità sorprendente della divina provvidenza è un’esperienza continua nella vita dei nostri fondatori e nei 150 anni di storia del nostro Istituto. Come, però, a Cana Gesù vuole il contributo della fatica dei servi per riempire fino all’orlo le grosse giare, così desidera la nostra partecipazione ai suoi prodigi con le nostre povere risorse.
  • Il vino buono si raccomanda da sé, lo sa bene colui che dirige il banchetto. «La Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione» (Papa Francesco in Evangelii Gaudium 14, citando Papa Benedetto). «Non parlare di Dio a chi non te lo chiede, ma vivi in modo tale che prima o poi te lo chieda», esorta San Francesco di Sales. Dallo stile di vita della comunità cristiana primitiva conseguiva una spontanea simpatia del popolo e il desiderio, da parte di molti, di abbracciare la fede in Cristo: «Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2, 48). Anche la nostra missione evangelizzatrice e la nostra pastorale vocazionale devono seguire la logica del vino buono.
  • Gesù e Maria intervengono a Cana perché il vino, la gioia, non manchi e perché la festa non cessi. A Valdocco e a Mornese mancava spesso il necessario materiale, ma non il “vino” della gioia e della festa. Don Bosco ha dimostrato, nella Lettera da Roma del 1884, che cosa potrebbe succedere quando venisse a mancare il vino nuovo e buono.
  • Come Don Bosco e M. Mazzarello, offriamo ai giovani il vino buono, il Vangelo della gioia. La parola di Paolo: «Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia» (2Cor 1,24) trova un eco nella parola di Don Bosco: «Miei carissimi figliuoli in Gesù Cristo, vicino o lontano io penso sempre a voi. Uno solo è il mio desiderio, quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità». Il Vangelo della gioia che Don Bosco ha offerto ai suoi giovani li fa giungere a una santità che vede la gioia come punto di partenza e punto di arrivo: «Noi qui facciamo consistere la santità nello stare sempre allegri» (S. Domenico Savio).
  • Il “sistema preventivo” a Cana
  • Maria è il frutto più perfetto del sistema preventivo di Dio. È la tutta santa, espressione della bellezza originaria dell’essere umano non contaminato dal peccato, immacolata, “piena di grazia”. L’amore preveniente di Dio si è realizzato nel modo più bello in lei.
  • Il sistema preventivo è «un’esperienza di carità apostolica, che ha come sorgente il Cuore stesso di Cristo e come modello la sollecitudine materna di Maria» (Cost 7). A Cana Maria, con «sollecitudine materna», opera in profonda intesa col Figlio, quindi con una fiducia immensa in lui. Gesù e Maria sono sulla stessa linea dell’amore preveniente.
  • A Cana Maria prevede, previene e provvede. Frutto dell’amore preveniente di Dio, Maria esercita con finezza lo stile preveniente di Dio ed è modello della nostra realizzazione del sistema preventivo nella missione educativa tra i giovani.
  • Cana e l’impulso missionario del «Da mihi animas»
  • «Nella Vergine Immacolata Ausiliatrice contempleremo la pienezza della donazione a Dio e al prossimo» (Cost FMA 44). A Cana, come nel «camminare in fretta» verso Ain Karem, Maria rivela questa donazione fatta con sollecitudine e premura.
  • Come a Maria, anche a noi l’impulso missionario del Da mihi animas mette ali ai piedi, sorriso alle labbra, idee sagge in testa, vigilanza e tenerezza nello sguardo e ardore nel cuore. La passione apostolica missionaria dà coraggio, intraprendenza e creatività.

 

  • Maria a Cana e la consegna «A te le affido» alle FMA
  • A Cana si immedesima nella situazione, prende tanto a cuore il problema da meritare quasi un rimprovero di Gesù.
  • La FMA vive «nel cuore della contemporaneità» con la consapevolezza della consegna del “A te le affido” fuggendo dal rischio dell’indifferenza, del “non tocca a me”, “non mi riguarda”.

  • Una comunità che sa coinvolgere e camminare in solidarietà
  • A Cana Maria suscita delle collaborazioni, stimola all’attività, alla partecipazione. Maria va dai servitori, li cerca, li raccoglie, parla loro. La sua presenza apre, coinvolge, mette in relazione, prepara all’accoglienza del miracolo.
  • A conclusione dell’episodio di Cana Gesù «scese a Cafàrnao, insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli». Mentre all’inizio della scena i personaggi arrivavano a Cana per vie diverse, ora appaiono come un gruppo unito che cammina «insieme», fuso in una comunità dalla comune fede. Questo è frutto dell’intervento delicato e fecondo di Maria.
  • «Vivere e lavorare insieme nel nome del Signore è un elemento essenziale della nostra vocazione» (C 49); «Si formerà nella comunità un clima di fiducia e di gioia, tale da coinvolgere le giovani e i collaboratori e da favorire il nascere di vocazioni salesiane» (C 50)

 

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